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Nintendo

Il giorno in cui McDonald’s provò a sponsorizzare il cappello di Mario

Marco Consiglio 5 anni fa Commenta! 11
 

Se ti dico tre cose, apparentemente molto diverse tra loro come ad esempio: Super Mario, McDonald’s e Heidi ti sorridono i monti, che cosa ti viene in mente? Nulla? Non ti preoccupare è normale, tuttavia ti posso assicurare che queste cose hanno una lore dietro che le accomuna. Ne vuoi sapere di più? Allora continua nella lettura.

Contenuti
La nascita di un mitoYōichi KotabeSu, al lavoro!La telefonata che non ti aspettiQuindi non se ne fece nulla? Non proprioTi potrebbe interessare

La nascita di un mito

Siamo nel 1985 alla radio passano We are the World, nelle sale esce Ritorno al futuro e Nintendo è finalmente pronta a consegnare al mondo la sua icona più riconoscibile. Un titolo che avrebbe gettato le basi, non solo per il genere platform, ma per tutta l’industria videoludica. Era l’anno in cui Super Mario Bros. avrebbe fatto il suo debutto sulle console di milioni di giocatori (e di questo ne ho già parlato qui nella puntata di Retrogames).

Nintendo riponeva in questa nuova IP parecchie speranze, sarebbe diventata il biglietto da visita della compagnia e sapeva perfettamente che una presentazione era di importanza vitale. Quindi noi popoli occidentali avremmo avuto questa versione estremamente classica, la quale era un modo molto tipico, al tempo, di presentare la cartuccia di gioco:

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

Come puoi ben vedere, le immagini di copertina sono prese direttamente dal gioco con un Mario intento a morire dentro la lava (si guarda bene, accade proprio questo), mentre spara una palletta di fuoco. In Giappone, però, questa cover art, era considerata troppo mainstream e inadeguata ai gusti molto manga del popolo nipponico. Loro ebbero questa illustrazione qui:

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

Tuttavia in Nintendo commisero un errore, non assunsero un illustratore professionista, ma chiesero al buon Shigeru Miyamoto, il papà di Super Mario, di creare qualcosa che fosse a gusto con le masse giapponesi del 1985. Il risultato rimase comunque iconico, con un Mario che mantiene ancora oggi un design molto simile, ma lo stesso non si può dire della principessa Peach, ma soprattutto di Bowser.

Se fai ben attenzione, Peach più che una principessa, sembra una versione bionda della rachitica Olivia dalla serie Braccio di Ferro (e ci può stare tutto visto che il buon Shigeru Miyamoto è, da sempre, un appassionato del cartone, tanto da provare a prendere i diritti per quello che qualche anno prima era stato Donkey Kong), ma soprattutto era strabica. Sì, non scherzo guarda bene l’immagine. Lo stesso Bowser ha un design che differisce parecchio da quello che conosciamo oggi, a partire dalla pelle grigia, che mal si sposa con il cattivo della serie Super Mario.

Yōichi Kotabe

I tempi erano stretti e quindi Nintendo decise di lanciare ugualmente la cover art ideata da Shigeru Miyamoto, tuttavia si mise, per i capitoli successivi, alla ricerca di un illustratore professionista che riuscisse a dare un tono più adeguato all’opera (oh, non che a Nintendo mancasse la forza economica per assoldare qualcuno che si occupasse dei disegni delle sue opere di punta). La scelta cadde su Yōichi Kotabe il quale aveva la missione, non proprio semplice, di ridisegnare Mario e tutto il suo background di personaggi, lavorando in stretta collaborazione al suo creatore, ovvero Shigeru Miyamoto.

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

La prendo larga e ti racconto chi è Yōichi Kotabe, se non hai la più pallida idea di chi sia (anche perché la pagina Wikipedia a lui dedicata è quanto di più striminzito si possa immaginare), è uno dei più grandi illustratori e creatori di personaggi che il Giappone abbia mai partorito (quindi mica pizza e fichi), per citarti solo alcuni dei suoi lavori, oltre al re-design di Mario, abbiamo: Heidi la serie animata, Marco – Dagli Appennini alle Ande e anche alcuni personaggi della primissima serie animata dei Pokémon.

In giovane età lavora fianco a fianco con Hayao Miyazaki, il creatore dello Studio Ghibli, ovvero l’eccellenza dell’animazione giapponese. Nintendo quindi decide di prendere il meglio del meglio che i soldi possano comprare assumendo Yōichi Kotabe. Lui accetta di buon grado, tuttavia inizialmente non è un cammino tutto in discesa.

Di base Yōichi Kotabe era un creatore di cartoni animati, non un disegnatore di videogiochi, quindi prepara tantissimi bozzetti preparatori che sarebbero andati benissimo per un anime, ma mal si sposavano con le dimensioni ridotte della cartuccia del Nintendo NES.

Su, al lavoro!

Si ritorna al lavoro e dopo qualche mese Kotabe si mette di bozzo buono e cerca finalmente di dare un’anima ai personaggi del mondo dei Funghi. Assieme a Shigeru Miyamoto, che dava le indicazioni per come voleva le proprie creazioni digitali, Kotabe rivoluzionò l’aspetto di buona parte di questi; partì con Peach. Miyamoto chiese di dare alla principessa un aspetto più ammaliante, con particolare attenzione agli occhi i quali dovevano assomigliare a quelli di un gatto. Kotabe si presentò con questa idea:

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

A Miyamoto piacque molto. Obbiettivo centrato. Era il turno del cattivo Bowser. Miyamoto come indicazioni, questa volta, chiese a Kotabe di basarsi su un anime che aveva particolarmente apprezzato: “Alakazam the Great”, da noi conosciuto come “Le 13 fatiche di Ercolino”. Miyamoto amava il design del cattivo di questa opera e chiese di ispirarsi a lui. Kotabe si mise al lavoro e cercò di dargli un look che mischiasse la natura di “lucertolosa” di Bowser con le richieste del papà di Super Mario. Ci vollero un paio di tentativi, visto che le istruzioni erano estremamente precise, ma poi si arrivò a questo:

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

 

Secondo obbiettivo centrato, soddisfazione da parte del dinamico duo e òla sugli spalti. Restava solo la missione più delicata, prendere Mario e farlo diventare un’icona. Miyamoto amava il design di Mario, restava sempre e comunque il suo figlio prediletto, quindi disse a Kotabe:

“Fai ciò che credi, tieni a mente solo una cosa, Mario non uccide”

Kotabe, preso ormai da quello che non reputava più un lavoro su commissione, ma una vera e propria sfida, apprezzava parecchio il lavoro svolto da Miyamoto con Mario. Gli piaceva com’era stato concepito il personaggio, i colori utilizzati, il fatto di avergli dato un po’ di carattere con i baffi. L’unica cosa che non lo convinceva appieno era il cappello; o meglio, la M di Mario sul berretto utilizzato. La M era rossa su sfondo bianco, tuttavia il modo come era stata disegnata ricordava altro: a Kotabe pareva il simbolo di McDonald’s.

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

A questo punto il designer decise di mantenere il lavoro fatto di Miyamoto, ma di concentrarsi sulla M e renderla più distinguibile da quella della famosa catena di fast food americana. Tuttavia non poteva sapere che sarebbe successo qualcosa di estremamente inaspettato.

La telefonata che non ti aspetti

Dopo qualche giorno dall’inizio dei lavori sul re-design di Mario, in Nintendo arrivò una chiamata proprio dalla sede di McDonald’s, la quale, in qualche modo, aveva saputo della decisione dell’azienda nipponica di cambiare i connotati al loro figlio più celebre.

Anche loro avevano notato la somiglianza della M di Mario, con gli archetti tipici di McDonald’s e chiesero espressamente che questa non venisse cambiata, ma anzi la facessero ancora più somigliante, visto che, secondo l’azienda americana, sarebbe stata un’opportunità di business tra le due compagnie. Dopotutto una si occupava di ingrassare i bambini, mentre l’altra di farli giocare, due cose che non andavano affatto in contrasto.

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

McDonald’s, in caso di esito positivo da parte della compagnia nipponica, avrebbe dato…bella domanda, Kotabe non disse mai cosa offrirono gli Yankee, in cambio della modifica sulla M di Mario. Posso solo immaginare che l’accordo prevedesse una valanga di soldi oppure una partnership di qualche tipo, poi in futuro realmente avvenuta, visto che Mario & co. più e più volte sono stati affiancati all’Happy Meal. C’è da dare merito a McDonalds anche solo per aver provato a fare una richiesta del genere a Nintendo, da sempre azienda molto gelosa dei suoi brand, anche se ovviamente non sarebbe stato gratis.

Adesso la domanda sorge spontanea, cosa fece Yōichi Kotabe? Accettò l’offerta della più grande catena americana di fast food o decise di declinare con la tipica gentilezza giapponese? Questo è un quesito a cui non abbiamo avuto risposta almeno fino al 2018, dove Yōichi Kotabe rilasciò un’intervista al quotidiano francese Le Monde. Posta la fatidica domanda rispose:

“Ho lasciato il tratto spesso del Mario originale, ma ho accentuato la M sul cappello per distinguerla ancora meglio dalla M di McDonald’s, la quale ci aveva chiesto espressamente di renderla più simile alla loro”

Quindi non se ne fece nulla? Non proprio

Quindi no, Nintendo e Kotabe decisero di declinare l’offerta dell’azienda americana, anzi il mangaka giapponese cercò di distinguerla ancora di più dalla loro, facendola diventare più spigolosa e togliendo totalmente anche la minima curva.

Il giorno in cui McDonald's provò a sponsorizzare il cappello di Mario

Tuttavia questo non fermò negli anni la catena di fast food e l’azienda giapponese dal collaborare per avere i famosissimi giocattoli onnipresenti nell’happy meal con le fattezze dell’idraulico italiano più famoso di sempre. Non solo, anche ultimamente Mario è apparso in alcuni spot di McDonald’s per sponsorizzare i loro panini, tuttavia no, ancora non abbiamo a menù un hamburger fatto con i funghi tipici del mondo mariesco, quello lo stiamo ancora aspettando.

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