Ci sono due titoli, profondamente intrecciati tra loro, che hanno definito una nuova era videoludica agli inizi degli anni 2000: System Shock e Deus Ex. Entrambi sparatutto in prima persona, entrambi pionieri di quello che sarebbe poi stato definito “immersive sim“, questi giochi rappresentavano non solo un’evoluzione tecnica degli FPS, ma anche una maturazione narrativa. System Shock si spingeva in avanti, immaginando un futuro dominato dall’intelligenza artificiale e interrogandosi sulle derive del controllo automatizzato. Deus Ex, invece, pur condividendone la matrice distopica, sceglieva un registro più umano, scavando nel rapporto tra individuo, tecnologia e società.

Bisognerà attendere il 2011 perché questa dimensione più intima trovi la sua piena espressione, con Deus Ex: Human Revolution e con l’introduzione di Adam Jensen, nuovo volto e nuova coscienza del franchise.
Adam Jensen: uomo o macchina?
Adam Jensen non è un eroe tradizionale. È un ex-poliziotto, trasformato suo malgrado in un ibrido uomo-macchina a seguito di un attentato che lo ha quasi ucciso. Salvato solo grazie a interventi cibernetici d’avanguardia, Adam incarna fin dalla sua nuova nascita un conflitto interiore profondo: quello tra ciò che si è scelto e ciò che si è subito. Non ha mai avuto la possibilità di fermare la propria trasformazione, eppure, paradossalmente, le sue nuove capacità lo rendono il più adatto ad affrontare un mondo che sta perdendo ogni riferimento etico e biologico.

In un’epoca dominata dalle corporazioni e dalla sorveglianza globale, Adam Jensen diventa l’elemento umano che cerca disperatamente un equilibrio tra identità personale e responsabilità collettiva. Il suo viaggio (tra intrighi politici, cospirazioni e lotte per i diritti degli aumentati) è il cuore di una narrazione che mette in discussione la stessa definizione di umanità. Human Revolution e il suo seguito Mankind Divided non parlano solo di futuri possibili, ma ci interrogano sul presente: sulla tecnologia che si innesta nei corpi, sui confini tra salute e potere, sulla libertà sacrificata in nome della sicurezza.
Adam è un uomo costantemente osservato, costantemente armato, ma irrimediabilmente solo. Dietro una pelle impenetrabile e gli innesti hi-tech si nasconde un’anima che cerca ancora di capire se ciò che resta di lui è sufficiente per fare la differenza: “Quanto di me è ancora…mio?“
Oltre il medium
Il transumanesimo, con le sue implicazioni filosofiche e morali, non è certo un concetto nuovo. Titoli come Blade Runner, Ghost in the Shell o Akira hanno scolpito il proprio nome nell’Olimpo del cinema e della letteratura, offrendo riflessioni ancora oggi attuali sul rapporto tra uomo e macchina, identità e coscienza, evoluzione e alienazione. Queste opere continuano a dialogare con le generazioni a distanza di decenni, testimoniando la potenza del linguaggio cyberpunk nel raccontare le inquietudini del presente attraverso una lente distopica del futuro.
Ma cosa distingue Adam Jensen da un Rick Deckard o da una Motoko Kusanagi?
Tutti e tre sono personaggi segnati dal dubbio, sospesi sul filo sottile che separa l’umano dal post-umano. Tuttavia, Jensen è l’unico con cui non ci limitiamo a empatizzare, ma con cui agiamo. È l’unico con cui condividiamo scelte, violenze e, molto spesso, compromessi. A differenza degli altri, la sua umanità non è oggetto di una fruizione passiva, ma di partecipazione attiva. Quando il mondo lo tratta come uno strumento, un’arma, un prodotto, siamo noi a decidere se accettare quella definizione o rifiutarla.

Non è un caso che molte discussioni accademiche e saggistiche sul videogioco come mezzo narrativo includano Human Revolution come esempio paradigmatico di storytelling interattivo. La possibilità di affrontare le missioni in modo stealth, letale o persuasivo non è solo una scelta di gameplay, ma un riflesso della complessità etica che Adam Jensen stesso rappresenta. Ogni azione compiuta nel gioco ha un peso narrativo e simbolico: non si tratta solo di completare un obiettivo, ma di decidere chi si vuole essere in un mondo dove l’identità è continuamente negoziata.
Purtroppo (per tutta la comunità videoludica e non solo) esiste una concreta possibilità che il percorso narrativo di Adam Jensen rimanga incompiuto. Il terzo capitolo della sua storia, atteso e sperato da anni, sembra essersi arenato nei meandri delle decisioni aziendali, sacrificato sull’altare delle logiche di mercato. Così, paradossalmente, il destino di un uomo che ha lottato contro il potere delle corporazioni rischia di essere deciso proprio da una di esse. E forse, anche in questo, Deus Ex si conferma più reale che mai.