Quando si pensa a Hideo Kojima, vengono subito in mente scene cinematografiche, monologhi infiniti, metafore politiche e giochi che sembrano film interattivi. Metal Gear Solid. Death Stranding. Visioni autoriali che hanno sempre guardato al cinema come riferimento dichiarato. E invece, all’origine di tutto, c’è un nome che nessuno si aspetterebbe: Super Mario Bros.
Secondo lo stesso Kojima, senza quel platform uscito oltre quarant’anni fa, la sua carriera nei videogiochi sarebbe stata tutt’altro che scontata. Una confessione che rimescola le carte e racconta molto più di quanto sembri.
L’influenza inattesa di Super Mario Bros

Durante una recente intervista, Hideo Kojima ha spiegato come Super Mario Bros. sia stato il vero punto di svolta che lo ha spinto verso lo sviluppo videoludico. Non un film, non un autore cinematografico, ma un gioco semplice, diretto, immediato.
Kojima racconta che nel momento in cui vide Mario in azione, comprese qualcosa di fondamentale: quel mezzo aveva un potenziale narrativo ed espressivo che un giorno avrebbe superato il cinema. Non in termini di realismo visivo, ma di coinvolgimento, linguaggio e possibilità.
Una presa di coscienza che, col senno di poi, appare quasi profetica.
Quando il videogioco supera il cinema
L’affermazione chiave di Kojima è netta. Vedendo Super Mario Bros, capì che il videogioco non era solo intrattenimento leggero, ma un mezzo destinato a crescere, evolversi e diventare dominante. Un’idea tutt’altro che comune negli anni ’80, quando i videogiochi erano spesso considerati giocattoli tecnologici.
È qui che nasce la radice della sua ossessione per il linguaggio. Kojima non ha mai cercato di imitare il cinema in modo passivo. Ha sempre provato a superarlo usando regole diverse, sfruttando interattività, scelta, tempo e spazio.
Metal Gear Solid non è un film giocabile. È una struttura che usa il linguaggio cinematografico per poi romperlo dall’interno.
Un paradosso affascinante

Il dato interessante è il paradosso. Super Mario Bros è tutto ciò che non associamo allo stile di Kojima. Colori, semplicità, gameplay puro, assenza di dialoghi complessi. Eppure, è proprio quella chiarezza a colpirlo.
Mario dimostrava che un’idea forte, se sostenuta dal medium giusto, poteva parlare a chiunque, senza bisogno di parole. Un concetto che Kojima ha poi ribaltato, caricando i suoi giochi di dialoghi, simboli e sottotesti, ma mantenendo sempre il controllo totale sul mezzo.
Dalla piattaforma NES a Metal Gear Solid
Senza Mario, probabilmente Kojima avrebbe continuato a inseguire il cinema. Lui stesso ha spesso raccontato quanto fosse attratto dai film e quanto fosse difficile, all’inizio, lavorare nell’industria videoludica giapponese.
Eppure, quella scintilla iniziale ha cambiato tutto. Da lì nasce il percorso che porterà a Metal Gear Solid, un titolo che ha ridefinito la narrazione nei videogiochi e dimostrato che il medium poteva affrontare temi politici, identità, guerra e manipolazione dell’informazione.
Death Stranding come conferma della visione
Anni dopo, Death Stranding rappresenta forse la realizzazione più pura di quella intuizione iniziale. Un gioco che divide, rallenta, sfida il concetto di divertimento tradizionale, ma che usa l’interattività come linguaggio centrale.
Non è un film travestito da gioco. È qualcosa che non potrebbe esistere in nessun altro mezzo. Ed è esattamente ciò che Kojima aveva intuito guardando Mario saltare sui Goomba.
Perché questa dichiarazione conta
Questa rivelazione non è una semplice curiosità nostalgica. Dice molto su come nascono le visioni creative. Non sempre l’ispirazione arriva da ciò che ci somiglia. Spesso arriva dall’opposto.
Super Mario Bros ha mostrato a Kojima la forza strutturale del videogioco, non la sua estetica. E da lì è nato uno degli autori più riconoscibili e divisivi dell’industria.
È anche un promemoria potente: i giochi che sembrano semplici oggi possono essere le fondamenta delle rivoluzioni di domani.
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