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Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Un tuffo nel passato

Pasquale Aversano 15 secondi fa Commenta! 10
 
7
Fear Effect

Sviluppato da Implicit Conversions e pubblicato da Limited Run Games, Fear Effect è il ritorno ufficiale nonché trasposizione fedele del titolo originario datato 2000 e originariamente sviluppato da Kronos Digital Entertainment e pubblicato da Eidos Interactive. Si tratta di un gioco d’avventura in 3D con elementi stealth e telecamera fissa che ci riporta letteralmente nel passato con tutti i suoi pro e contro. Noi abbiamo rivestito i panni di Hana su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione! Pronto per un salto indietro nel tempo?

Contenuti
Fear Effect si torna su PlayStation 1Stessa storia, stessi momentiGiocare a Fear Effect oggiGrafica e sonoroTi potrebbe interessare

Fear Effect si torna su PlayStation 1

Prima di raccontare la storia di Fear Effect sia ludica che del prodotto in sé, è bene chiarire subito la natura attuale di quello che abbiamo tra le mani. L’opera riportata a galla da Limited Run Games non è altro che una trasposizione fedele e diretta dell’edizione originale del titolo. Non è un remake e neanche una remastered. In poche parole, l’operazione è in linea con quanto già visto con titoli del calibro di TOMBA! o della trilogia di Gex, di cui puoi anche recuperare la nostra recensione.

Bisogna però segnalare alcuni elementi aggiuntivi che sono anche tra i motivi per cui consigliare di tornare su Fear Effect. Primo tra tutti, i comandi “moderni” che provano a rendere l’esperienza di gioco più fluida e gradevole, eliminando il movimento “tank” che è comunque possibile impostare. Ovviamente, l’implementazione di un movimento più fluido e veloce in un gioco dalla struttura comunque “anziana” e studiato per essere “rigido” può causare qualche intoppo con la già naturalmente non generosa telecamera.

In compenso, la difficoltà del titolo viene leggermente meno, grazie a movimenti decisamente più naturali e intuitivi, oltre che pratici. Ma non solo, Fear Effect aggiunge la possibilità di salvare quando vuoi e anche il “rewind”. Quest’ultimo ci permette con pochi “clic” di tornare letteralmente indietro nel tempo e di ripetere una o più sessioni, o attimi di gioco, per evitare una fine spiacevole. Se da un lato questa aggiunta va a mitigare il livello di difficoltà, dall’altro rende più accettabile la frustrazione, eliminando lunghe ripetizioni… visto che in Fear Effect si muore eccome.

Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Stessa storia, stessi momenti

Inutile negarlo, l’operazione di Fear Effect come anche quella per TOMBA!, vince per l’effetto nostalgia e perché comunque parliamo di opere assenti da fin troppo tempo e che, nel loro piccolo, hanno saputo spiccare per una o più idee, dando comunque vita a schiere di fan più o meno nutrite e affiatate. Nel dettaglio, Fear Effect irrompe sulla prima PlayStation nel 1999, sviluppata da Kronos Digital Entertainment e pubblicato da Eidos Interactive, implementando una struttura ludica alla survival horror del tempo, primo tra tutti Resident Evil, ma cercando di offrire un’esperienza di tutt’altro genere, molto spy story ma anche ibrida, muovendosi tra cyberpunk fino a fantascienza più classica. 

E pensare che il tutto parte da una semplice ricerca di una ragazza scomparsa e che vede impegnati i tre protagonisti: Hana, Deke e Glas. Si tratta di tre mercenari un po’ caciaroni ma che sanno il fatto loro. Inutile dire che tra i tre, la più iconica è lei: Hana. Già al tempo fece scalpore per alcune scelte che strizzava l’occhio ai fan. Nel gioco, infatti, la vedremo impegnata in missione sia avvolta da un solo asciugamano sia in abiti da prostituta. Purtroppo, nonostante i suoi piccoli azzardi (sempre in riferimento al periodo), Hana fallisce nel surclassare l’innegabile fascino dell’altra eroina del mondo dei videogiochi del periodo: Lara Croft. 

Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Nonostante il sequel denominato Fear Effect 2: Retro Helix datato 2001, la serie subisce un brusco stop e sparisce dai radar. Riappare nel 2017 dopo diverse vicissitudini con un capitolo denominato Fear Effect Sedna con tanto di gameplay radicalmente mutato, così come è mutato lo stile grafico e lo stesso studio di sviluppo. Il terzo capitolo non conquista e il titolo vede sfumare definitivamente anche l’idea di un remake radicale dell’originale. Ed eccoci qui, Fear Effect è tornato ma non è un remake, bensì una trasposizione 1:1 dell’originale, spinto dal desiderio di far conoscere se stesso attirando soprattutto i nostalgici ma anche incuriosendo i neofiti. 

Oggi la trama di Fear Effect, nonostante suoni meno “innovativa” o “coraggiosa”, funziona comunque bene. Più che altro perché ha dei personaggi scritti abbastanza bene e che, anche se non si prendono mai troppo sul serio, trascinano con efficacia una storia costantemente in bilico tra un B-movie e un film di spionaggio futuristico. Ricordiamo che il racconto è ambientato nel 2050 e sì, per chi è attento, noterà anche più di un richiamo ai primi Metal Gear. 

Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Giocare a Fear Effect oggi

Fear Effect è un gioco di avventura in terza persona 3D con telecamera fissa e con diversi enigmi ambientali. A ciò si somma un sistema di inventario abbastanza rudimentale e un’interazione con lo scenario molto simile a quelle delle avventure grafiche dell’epoca. Il combat system, invece, si aggrappa alla struttura da survival horror della prima generazione della PlayStation con tanto di variante stealth con possibilità di uccidere i nemici senza esser visti… in stile simile a Metal Gear.

Oggi tutto ciò funziona con diversi “sacrifici”. Partendo dall’inventario il cui utilizzo è abbastanza scomodo, legnoso e poco intuitivo. Questi appare su schermo ed è a “scorrimento orizzontale” richiedendo la pressione di un tasto per passare da un oggetto all’altro e la pressione di un altro tasto per l’equipaggiamento. Un procedimento impacciato che influisce nelle fasi più “action”, richiedendo quindi di essere già equipaggiati e pronti a tutto.

Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Come se non bastasse, la telecamera fissa non aiuta. Le inquadrature, alcune molto cinematografiche e ancora oggi efficaci, non sempre ci aiutano a individuare in tempo i nemici… alcuni dei quali ci vedono e sparano ancor prima che possiamo scorgere. Questo richiede un continuo trial and error che potrebbe scoraggiare i meno pazienti. Anche il combat system non ne esce vittorioso dallo scorrere del tempo visto che permane abbastanza impreciso e forzato. Il lock-on automatico sui nemici funziona a singhiozzo, soprattutto quando ci sono più nemici su schermo e può causare qualche problema.

Anche con le armi ravvicinate, il feedback non è dei migliori e richiede un po’ d’allenamento. Per fortuna, l’aggiunta inedita di un movimento più fluido aiuta a gestire meglio l’esplorazione, velocizzando sia l’avanzata della protagonista e l’interazione con l’ambiente, sia lo stesso combattimento. Da segnalare che la nostra eroina può anche effettuare una capriola per provare ad evitare i colpi avversari oltre a potersi accovacciare per cercare di non farsi individuare. Quest’ultima azione non riesce sempre benissimo, evidenziando un’intelligenza avversaria non proprio brillante.

Fear Effect, recensione (PlayStation 5)

Grafica e sonoro

Graficamente parlando, Fear Effect al suo tempo era anche discretamente notevole, più che altro grazie all’utilizzo di un buon cel-shading che però oggi presta il fianco a diverse critiche. Non basta, infatti, l’utilizzo del filtro, tra l’altro anche personalizzabile, per svecchiare un titolo che permane spigoloso e grezzo sotto diversi punti di vista. Bisogna però evidenziare, ancora una volta, il valore nostalgico dell’opera. Tutto trasuda nostalgia e rimandi continui al suo periodo originario.

Tra sfondi pre-renderizzati ed elementi con cui è possibile interagire, dopo una iniziale confusione, ci si abitua velocemente. Certo, orientarsi non è facilissimo e chi non è pratico del genere potrebbe ritrovarsi dinanzi a più di un ostacolo, aggravato da una telecamera imperfetta e in alcuni momenti anche capricciosa. Anche le cut scene, fedelmente riportate, mostrano il fianco a qualche critica, risultando fin troppo grezze in alcune occasioni. Eppure tutto ciò contribuisce a restituire il fascino intatto di un’opera fortemente identitaria e che al suo interno ha anche richiamo al folklore cinese di tutto rispetto e da non sottovalutare.

Il sonoro esce invece discretamente vittorioso. Il ritmo è immutato e contribuisce alla rievocazione dell’opera originale trainando con sé tutto il sistema di effetti speciali che va ad arricchire l’esperienza. Da segnalare, infine, la totale assenza della lingua italiana. Tale assenza pesa ancora di più considerando che poteva essere un’aggiunta notevole, oltre che una spinta in più, per poter rivivere Fear Effect e le sue trame. Perché sì, nonostante la semplicità del testo e dell’intreccio narrativo stesso, ci sarà molto da leggere.

Scopri tutto su Fear Effect
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Fear Effect
7
Grafica 6.5
Sonoro 7
Longevità 7
Gameplay 6.5
Nostalgia 8
Aspetti positivi Forte impatto nostalgico I controlli “moderni” funzionano Gradite le aggiunte extra come il rewind Ancora oggi ha diverse idee interessanti
Aspetti negativi Il titolo non è invecchiato benissimo Grezzo e impreciso in più di un aspetto Assenza della lingua italiana
Considerazioni finali
Fear Effect rientra con efficacia tra i lavori di trasposizione in scala 1:1 di diverse opere del panorama videoludico. Dopo TOMBA! e Gex, anche in questo caso abbiamo tra le mani il medesimo titolo originale con poche aggiunte che mirano a rendere l'esperienza più fluida e “moderna”. Il tutto lasciando l’opera intatta sia tecnicamente che ludicamente, ad eccezione del sistema di movimento più fluido e che sì, non fa rimpiangere il vecchio “tank”, comunque presente. Al netto di ciò, parliamo di un’opera che al suo tempo ha saputo coinvolgere una nicchia di fedeli ma che oggi, complice qualche aspetto invecchiato male e anche qualche imprecisione ludica, potrebbe trovare qualche scoglio di troppo. Un peccato, considerando che il titolo riesce ancora a coinvolgere e divertire, mostrando più di un’idea intrigante.

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