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Lettura Neversong – La recensione di un’esperienza coinvolgente
 
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Neversong – La recensione di un’esperienza coinvolgente

Leonardo Calamari 5 anni fa 2 commenti 9
 

Uno dei modi migliori di presentare Neversong, prima ancora di parlarti di quelle che sono le sue qualità o gli eventuali difetti, è senz’altro quello di fare un doveroso salto nel passato, in direzione dell’epoca in cui videogiocare online non aveva necessariamente a che fare né con il multiplayer, né tanto meno con lo spendere soldi.

Contenuti
La semplicità rende le cose sempliciUn gameplay modesto ma ben equilibratoQuando il comparto tecnico eleva l’intera operaTi potrebbe interessare

Nonostante il recente debutto infatti, prima avvenuto su PC e ora anche sulle maggiori console, Neversong si porta sulle spalle l’importante eredità dei browser game, noti anche con il nome di videogiochi Flash.

Durante il 2010, prima di evolversi nel titolo che avrai presto modo di conoscere, l’idea embrionale alla base di Neversong venne infatti racchiusa all’interno di Coma, una delle esperienze interattive più apprezzate in quel campo, frutto degli sforzi e del talento di un singolo ragazzo di nome Thomas Brush.

Con il passare del tempo, la passione di Thomas nel creare videogiochi continuò a crescere insieme a lui e così, conscio dell’enorme potenziale ancora insito in quel suo progetto, decise di attingervi a piene mani nel tentativo di farlo rivivere in qualcosa di più ambizioso. Ci sarà riuscito?

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Un tempo chiamato (non a caso) Once Upon A Coma, questo titolo riprende moltissimi degli elementi già presenti nell’opera originale, ma non può che essere inteso come un’esperienza completamente nuova e a sé stante.

Senza ulteriori indugi, direi che è decisamente arrivato il momento di entrare nel merito di questa mia recensione, introducendoti alla narrativa di Neversong; il primo aspetto di fronte al quale è semplicemente impossibile non notare gli sforzi dell’autore, nel voler portare al livello successivo quella piccola perla di 10 anni fa.

La semplicità rende le cose semplici

Giocare a Neversong significa immedesimarsi nel giovane Peet, un orfano del villaggio di Red Wind che dopo un’infanzia tutt’altro che spensierata, riesce finalmente a ritrovare il sorriso grazie alla compagnia della sua amica Wren. Purtroppo però, il benessere dei due non è destinato a durare e come lo stesso gioco ci fa sapere in fase di apertura, quella che doveva essere un’estate indimenticabile finisce con il rivelarsi un vero e proprio incubo.

A distruggere la serenità della coppia di amici, ci pensa quello che viene presentato come un terribile antagonista, tanto inquietante quanto apparentemente disumano: il Dottor Smile. Dopo aver sorpreso i due ragazzini intenti a giocare nel suo manicomio, questa minacciosa figura sceglie di rapire la povera Wren traumatizzando così il nostro protagonista, che nell’assistere alla scena, cade immediatamente in un coma profondo.

È proprio qui, dopo il risveglio inaspettato del piccolo Peet, che Neversong da in mano a noi giocatori le redini del suo futuro, spingendoci ovviamente ad aiutarlo nel ritrovare la sua cara Wren. Prima di addentrarci però in quello che è il gameplay vero e proprio, che nonostante l’importanza data alla narrativa rappresenta ugualmente un punto focale dell’intera esperienza, ci tengo a dire un’ultima cosa.

Questo titolo cerca di raccontare una storia tutt’altro che facile, sfiorando anche temi di un certo peso come ad esempio quello della morte. Nel farlo però, sfoggia una delicatezza e una semplicità in grado di rendere certi messaggi alla portata di tutti, senza mai smettere di risultare coinvolgente grazie anche a un continuo contrasto fra scenari onirici e atmosfere da incubo.

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La sensazione è stata quella di trovarmi di fronte a un titolo potenzialmente molto angoscioso, ma comunque piacevole. Immergermi in Neversong è stato come ritrovarmi da solo, nel buio più totale, per poi rendermi conto di avere solamente gli occhi chiusi.

Un gameplay modesto ma ben equilibrato

Il gameplay di Neversong rappresenta a conti fatti l’aspetto più modesto e immediato dell’intera produzione, in un mix piuttosto equilibrato tra il genere metroidvania e quello dei puzzle game. La struttura su cui si basa è davvero molto semplice e gli elementi che lo compongono, a partire dalle fasi di combattimento quasi schematiche fino ad arrivare al backtracking appena accennato, lo rendono un gioco molto scorrevole, adatto a chi cerca un’esperienza accessibile.

Ovviamente, va specificato che questo essere quasi semplicistico in alcuni suoi elementi, per certi giocatori potrebbe inevitabilmente rappresentare una mancanza. Il tutto si riduce infatti all’esplorazione di una piccola mappa suddivisa in 5 livelli collegati tra loro, nei quali non dovrai far altro che farti strada verso semplici enigmi ambientali per poi sconfiggere gli immancabili boss di turno.

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Dopo ognuna di queste battaglie (forse non particolarmente ispirate) Peet avrà modo di ottenere una nuova melodia da suonare al pianoforte, indispensabile per garantirgli l’oggetto utile ad accedere al livello successivo.

Parliamo quindi di un gameplay non particolarmente ricco, specie nella varietà delle situazioni affrontate e, ancor di più, nella profondità delle sue poche fasi action. L’ambizione di Neversong non è però quella di offrire un’esperienza sulla falsa riga di altri giochi, come ad esempio Hollow Knight, bensì di voler raccontare una storia dichiaratamente introspettiva, che vada a toccare corde di un certo tipo trattando temi ben precisi.

Il gameplay è semplice, poco profondo, ma riesce nell’intento di intrattenere il giocatore mettendolo nella condizione di voler proseguire, intrigato da tutto il resto che il gioco gli può offrire. Nonostante quindi certi limiti, che rappresentano forse l’unico motivo per il quale Neversong non si è aggiudicato un voto pieno, il mix tra esplorazione, rompicapi, fasi platform e combattimenti, vanta tutto sommato un buon equilibrio e rende l’esperienza nel complesso piacevole.

Quando il comparto tecnico eleva l’intera opera

Eccoci arrivati all’ultima parte di questa mia recensione dedicata a Neversong. Come sempre, dopo averti introdotto/a alla trama del gioco e averti parlato del suo gameplay, è arrivato il momento di dare spazio a tutto ciò che riguarda il comparto tecnico. Prima di toccare qualsiasi altro aspetto però, ci tengo particolarmente a soffermarmi e sul doppiaggio e sulla colonna sonora che accompagnano chi sceglie di giocare questo titolo.

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Nel corso della mia esperienza ho avuto modo di riscontrare giusto un paio di problemi, alcuni legati alla localizzazione italiana e altri riguardanti qualche bug minore. Va detto però che nel giro di pochi giorno Neversong ha già subito diversi aggiornamenti, alcuni dei quali hanno risolto proprio questi problemi.

Partendo dal narratore, fino ad arrivare alle voci dei vari personaggi che Peet incontrerà nel corso della nostra avventura, il doppiaggio unito alla colonna sonora realizzata al pianoforte rendono l’atmosfera che si respira in Neversong una vera gioia per le sinapsi. È infatti proprio grazie all’unione di questi due elementi se quel contrasto tra inquietudine e spensieratezza, del quale ti ho già accennato, riesce a elevare l’intera opera che passa facilmente da un registro scanzonato a uno spesso più drammatico.

A completare poi l’intero quadro ci pensa una grafica illustrata dallo stesso Thomas Brush, già scrittore dell’intero titolo e compositore della colonna sonora, che pur senza far gridare al miracolo risulta perfettamente in linea con l’intero gioco. Dopo aver apprezzato l’enorme talento di questo poliedrico sviluppatore, non resta quindi che consigliare questo gioco a chiunque sia in cerca di un’esperienza tanto breve quanto coinvolgente.

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2 commenti 2 commenti
  • XGIO 23X ha detto:
    22 Luglio 2020 alle 7:45

    Titolo fa giocare sicuramente. Complimenti anche per la recensione scorre fluida e appagante

    Rispondi
    • Leonardo Calamari ha detto:
      22 Luglio 2020 alle 15:11

      Grazie mille XGIO! Sono davvero felice che ti sia piaciuta :)

      Rispondi

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