L’ascesa di Art the Clown nell’olimpo dell’horror moderno è un fenomeno innegabile. Con il suo sadismo silenzioso e un’espressività mimica che mescola terrore e commedia nera a volte mischiata al cringe, il personaggio creato da Damien Leone ha riportato in auge il gusto per gli effetti pratici e lo splatter estremo. L’idea di trasporre questa brutalità in un beat ‘em up a scorrimento laterale in pixel art, sulla scia dei classici arcade anni ’90, sembrava sulla carta una mossa coraggiosa e potenzialmente geniale. Tuttavia, Terrifier: The ARTcade Game si rivela presto un’esperienza dove il sangue scorre a fiumi, ma la sostanza scarseggia drammaticamente.

Terrifier: The ARTcade Game: un incubo pixelato (ma non nel modo giusto)
Non ci si aspetta certo una sceneggiatura da premio Oscar in un picchiaduro a scorrimento, ma il pretesto narrativo di Terrifier: The ARTcade Game tenta la carta del “meta”, con risultati altalenanti. La premessa vede Art the Clown (e i suoi compagni di massacro) seminare il panico su un set cinematografico dove si sta girando un film proprio sulle sue gesta. L’obiettivo è farsi strada tra membri della troupe, addetti al suono, cameramen e produttori, fino ad arrivare allo scontro finale con il regista in persona, Damien Leone.
Il roster dei personaggi giocabili include Art, la “Little Pale Girl”, Vicky Hayes e, in una scelta che ha lasciato perplessi molti fan, Adam Burke (interpretato nel film dal wrestler Chris Jericho, qui presente con mosse di wrestling che sembrano un po’ fuori contesto a detta personale).
Sebbene l’idea di massacrare chi sta cercando di lucrare sulla tua immagine possa strappare un sorriso cinico in linea con lo spirito dei film, la narrazione si esaurisce in fretta. La modalità storia dura meno di due ore e, a parte qualche tentativo di umorismo nero, non offre nulla che rimanga impresso, servendo meramente come collante tra una scazzottata e l’altra.

Gameplay, parole d’ordine: ripetitività e frustrazione
È nel gameplay, cuore pulsante di ogni beat ‘em up, che Terrifier: The ARTcade Game mostra le sue crepe più profonde. Il sistema di combattimento appare sin da subito legnoso e privo di profondità. Sebbene sulla carta ogni personaggio disponga di attacchi leggeri, pesanti, scatti e mosse speciali, all’atto pratico non esiste alcuna reale necessità di abilità o strategia. Non ci sono vere combo da padroneggiare: la tattica dominante si riduce spesso a premere furiosamente il tasto dell’attacco leggero per bloccare i nemici in un’animazione di stordimento.
Le “Esecuzioni”, vero marchio di fabbrica del franchise, sono presenti ma deludenti. Ogni personaggio ne possiede solo due varianti. Se la prima volta vedere Art usare il suo corno per far esplodere la testa di un nemico è gratificante, alla centesima volta l’animazione diventa solo un’interruzione noiosa del flusso di gioco, aggravata dal fatto che spesso il sangue e i cadaveri a schermo (che restano in gioco) ostruiscono la visuale, rendendo difficile capire cosa stia succedendo.
In un gioco del genere mi sarei aspettato maggiore focus sulle esecuzioni, che se vogliamo sono il cuore pulsante dello splatter intrinseco del film. Qui, l’unico sangue che esce a fiotti, è quello dalle orbite del giocatore dopo che vede 200 volte la stessa scena.

Il design dei livelli è piatto e i nemici, a parte i boss basati sulla troupe cinematografica, offrono pochissima varietà (si contano sulle dita di due mani i tipi di avversari comuni). L’intelligenza artificiale oscilla tra l’irritante e lo stupido: i nemici tendono a parare costantemente o, al contrario, a camminare ripetutamente sulle trappole ambientali come se fossero ubriachi.
Aggiungiamo a questo mix una serie di bug critici: personaggi che fluttuano a mezz’aria, livelli che iniziano senza caricare il giocatore.
Insomma, il quadro che ne emerge è quello di un titolo rilasciato senza la necessaria fase di pulizia e rifinitura. Il multiplayer locale a quattro giocatori aggiunge caos, ma non basta a salvare un sistema di base claudicante. Sicuramente Terrifier: The ARTcade Game risulta più accattivante se giocato con amici. Ma in certi versi, mi ha tristemente ricordato la mia vecchia recensione di Asterix e Obelix, e ti assicuro che quelli sono ricordi che avrei preferito non rivivere…

Comparto tecnico, un viaggio tra poche luci e (molte) ombre
Il comparto tecnico vive di un dualismo marcato. Da un lato, la direzione artistica visiva ha dei guizzi positivi. Gli sprite dei personaggi principali sono realizzati con cura, richiamando uno stile che ricorda le produzioni di una volta. Le animazioni delle morti sono grotesque e fedeli allo spirito gore dei film, e l’uso di filtri grafici cerca di restituire quel feeling da horror anni ’80.
Dall’altro lato, il comparto audio è disastroso. La colonna sonora che purtroppo esiste, la potrei descrivere come un loop di riff metal generici. Gli effetti sonori sono limitati e trascurabili. Inoltre, si notano glitch grafici imperdonabili per un titolo commerciale, come sprite di armi o oggetti specchiati male (con scritte al contrario) che denotano una mancanza di cura per i dettagli.
