Il mondo dei videogiochi è una galassia di passioni, generi e giocatori. Eppure, nonostante le differenze che ci dividono, esistono dei problemi comuni, delle tendenze negative che affliggono l’industria e fanno storcere il naso a gran parte della community. Non si tratta di gusti personali, ma di pratiche discutibili e difetti di progettazione che minano l’esperienza di gioco.
Ecco i cinque problemi che, più di ogni altro, rappresentano il lato oscuro del gaming moderno.
5. Ripetitività tossica: Quando “più” non significa “meglio”

La longevità è spesso uno dei cavalli di battaglia del marketing: “oltre 100 ore di gioco” è una frase che attira molti. Ma avere tante cose da fare non equivale a divertirsi. Questo è un problema che colpisce soprattutto i titoli single-player, dove la quantità di contenuti viene gonfiata artificialmente a scapito della qualità.
Prendiamo un capolavoro come The Elder Scrolls V: Skyrim. Le sue innumerevoli ore di gioco sono sostenute da un numero impressionante di missioni secondarie uniche e da un mondo che premia l’esplorazione. Anche se i dungeon possono assomigliarsi, l’obiettivo e la narrazione cambiano, mantenendo alta la motivazione. Al contrario, un titolo come Fallout 4, pur avendo una solida base, basa gran parte della sua longevità su un ciclo di quest generate proceduralmente (“aiuta l’insediamento X”) che diventano presto un noioso riempitivo. Il risultato? Un contatore di ore alto, ma un’esperienza diluita e priva di mordente.
4. DLC e contenuti frammentati: Il gioco venduto a pezzi

L’acronimo DLC (Downloadable Content) è ormai entrato nel vocabolario di ogni gamer, ma spesso in accezione negativa. Se da un lato esistono espansioni corpose che arricchiscono un gioco già completo (pensiamo a The Witcher 3 o Dark Souls), dall’altro esiste una piaga ben più grave: quella dei contenuti tagliati dal gioco base e venduti separatamente.
Il caso più eclatante è quello di titoli come Asura’s Wrath, il cui vero finale era accessibile solo acquistando un DLC a pagamento. Questa pratica fa sentire il giocatore tradito, come se avesse comprato un prodotto incompleto. Peggio ancora, a volte questi contenuti sono già presenti nei file di gioco al momento dell’acquisto: il pagamento serve solo a “sbloccarli”, trasformando l’acquisto in una sorta di riscatto per accedere a qualcosa che, di fatto, abbiamo già pagato.
3. Community tossiche: Il lato oscuro del multiplayer

Giocare online con persone da tutto il mondo è una delle più grandi conquiste del gaming, ma può trasformarsi rapidamente in un incubo. Il multiplayer, se non gestito con regole ferree e moderazione efficace, diventa terreno fertile per tossicità, insulti e comportamenti antisportivi.
Giochi come Dota 2, League of Legends o Rainbow Six Siege sono famosi tanto per la loro profondità strategica quanto per le loro community ostili. Tra “troll” che sabotano le partite, giocatori che abbandonano alla prima difficoltà e un’aggressività verbale costante, l’esperienza di gioco può diventare un test di sopportazione. Il problema non è la competizione, ma l’impunità di chi rovina sistematicamente il divertimento altrui, costringendo molti a giocare senza audio o, peggio, ad abbandonare del tutto i loro titoli preferiti.
2. Pay-to-Win: Quando la carta di credito batte l’abilità

Il modello “Pay-to-Win” (Paga per Vincere) rappresenta una delle pratiche più controverse, specialmente nei giochi multiplayer. Si verifica quando un giocatore può ottenere vantaggi competitivi concreti spendendo soldi reali.
Nei titoli free-to-play questa meccanica, seppur fastidiosa, può avere una sua logica commerciale. Diventa però inaccettabile quando applicata a giochi venduti a prezzo pieno. Lo scandalo di Star Wars: Battlefront II al lancio è l’esempio perfetto: i giocatori potevano acquistare casse premio che contenevano potenziamenti in grado di alterare drasticamente l’equilibrio delle partite, dando un vantaggio sleale a chi spendeva di più.
Questo modello va distinto da sistemi di monetizzazione etici, come quello di Overwatch, dove le microtransazioni sono legate esclusivamente a oggetti cosmetici (skin, emote) che non offrono alcun vantaggio in-game, rispettando così l’abilità del giocatore.
1. Hype smodato e promesse infrante: La trappola del marketing

Forse il peccato più grande di tutti è il tradimento della fiducia. Parliamo di quei giochi che, durante la loro campagna marketing, vengono presentati con trailer mozzafiato, interviste piene di promesse e demo che mostrano funzionalità rivoluzionarie, per poi rivelarsi prodotti deludenti e incompleti al momento del lancio.
Il caso di No Man’s Sky è storia: il gioco promesso da Sean Murray era un universo di infinite possibilità, con multiplayer, fisica complessa e una varietà strabiliante. La versione finale era un’ombra di tutto ciò. Questo fenomeno, spesso definito “downgrade”, crea un’enorme delusione e un senso di truffa. A differenza di un gioco come Sea of Thieves, che è stato criticato per la scarsità di contenuti al lancio ma non ha mai mentito su ciò che offriva, i miraggi creati dall’hype infrangono il patto di fiducia tra sviluppatore e giocatore.
Videogiochi e una speranza per il futuro
Questi cinque problemi rappresentano una sfida costante per chi ama i videogiochi. Dalla ripetitività che svuota di senso le lunghe sessioni di gioco all’hype che si trasforma in delusione, il percorso di un gamer è pieno di ostacoli. La speranza è che una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori e un dialogo più onesto da parte degli sviluppatori possano portare a un’industria più sana, dove il divertimento e il rispetto per il giocatore tornino a essere i veri obiettivi principali.
E tu, quali di questi problemi trovi più frustrante? Faccelo sapere nei commenti!