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PlayStation 5Recensioni

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Finalmente è il momento di rispolverare la katana

Emanuele Ribaudo 2 ore fa 11
 
Ghost of yotei
8
Ghost of yotei

Parlando di Ghost of Yōtei, la prima cosa che mi viene da dire è come il titolo rappresenti la maturazione artistica e tecnica di Sucker Punch; non è un semplice sequel, ma una evoluzione del concetto di open world giapponese già esplorato in Ghost of Tsushima. 

Contenuti
Il sangue e la neveGameplay di Ghost of YoteiSegnali di stile: grafica e sonoroTi potrebbe interessare
Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Questa volta il gioco abbraccia un approccio più introspettivo, poetico e riflessivo, trasformando il viaggio del giocatore in un percorso emozionale, oltre che ludico. E se ripercorriamo la storia dei suoi sviluppatori, da Sly Raccoon ad Infamous non puoi che concordare con la mia premessa.

L’ambientazione innevata di Yōtei non è un elemento decorativo, ma una componente narrativa primaria. La neve diventa linguaggio: evoca silenzio, memoria, introspezione e fragilità. Influenza non solo la resa visiva, ma il ritmo dell’esplorazione, il sistema di combattimento e la percezione emotiva dell’intera esperienza.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

D’altro canto Atsu, la protagonista, è profondamente diversa da Jin Sakai di Tsushima; pur essendo entrambi dei guerrieri, la ragazza non è un eroe epico che combatte per l’onore di un popolo, ma una giovane donna segnata da un dolore personale che nasconde a fatica dietro la lama della sua katana. La sua battaglia è intimamente legata alla vendetta e alla ricerca di un senso profondo, elemento questo che cambia radicalmente il tono narrativo: Yōtei diventa una riflessione, non solo una guerra.

Il sangue e la neve

La storia si struttura come un intreccio di vendetta, introspezione e poesia. Atsu, una onna musha (questo il termine che definiva le donne guerriere), parte per affrontare i leggendari Sei di Yotei, sei figure simboliche che rappresentano quel potere oscuro e totalizzante che caratterizzava i daimyo, i signori del Giappone feudale che avevano potere di vita e di morte sui propri territori.Ma il suo viaggio non è lineare né semplice: ogni scontro è una prova morale e ogni scena aggiunge profondità alla sua comprensione di sé e del concetto stesso di Ghost.

Di lei, almeno all’inizio sappiamo davvero poco: la sua storia si colloca 300 anni dopo gli eventi di Ghost of Tsushima, all’inizio dell’epoca Edo. La vita di Atsu scorre tranquilla nell’antica Ezo (l’attuale Hokkaido) in cui vive con il padre, un fabbro esperto, la madre e il fratellino con cui si diverte ad apprendere i rudimenti del combattimento con la spada.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Purtroppo la sua vita è destinata a cambiare nel momento in cui Lord Saito, un malvagio signore feudale, decide di conquistare Edo con l’obiettivo di autoproclamarsiShogun. Senza alcun apparentemente motivo, se non il fatto che il padre di Atsu è una sua vecchia conoscenza, Saito ordina ai Sei di Yotei di sterminare l’intera famiglia, lasciando la ragazza trafitta ad un albero di Gingko in fiamme.

All’inizio della storia ritroviamo al ragazza 16 anni dopo, diventata ormai una mercenaria e sempre più decisa a vendicare i propri cari.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

La trama alterna momenti di combattimento intenso a sequenze meditative, dove il silenzio e il paesaggio parlano più delle parole. Questo crea un ritmo narrativo unico, quasi cinematografico, che spinge il giocatore a riflettere oltre il mero atto del combattere.

La sceneggiatura è minimalista: le cutscene sono rare, i dialoghi essenziali. Questo non è un limite, ma una precisa scelta stilistica che amplifica il senso di immersività e profondità. Ogni parola, ogni silenzio ha un peso. La storia si racconta attraverso i paesaggi, i dettagli e la musica, trasformando Yōtei in un poema visivo e sonoro.

Gameplay di Ghost of Yotei

Ovviamente derivato da quello del predecessore, il gameplay di Ghost of Yōtei si articola in tre pilastri fondamentali: esplorazione, combattimento e modalità cinematografiche.

 Ezo è un mondo vivo, un open world progettato per premiare l’osservazione. Villaggi remoti, santuari nascosti, foreste innevate e sentieri dimenticati sono dettagli studiati per creare un senso di autenticità e scoperta. L’esplorazione diviene quindi parte integrante della narrazione: scoprire un piccolo tempio o una roccia incisa equivale a scoprire un pezzo di storia di Yōtei.

Il clima dinamico e in maniera particolare la neve modificano radicalmente l’esplorazione; camminare in una tempesta rallenta i movimenti, altera il suono dei passi e riduce la visibilità, imponendo al giocatore di adattare il proprio approccio. Come già detto non parliamo solo di orpelli visivi, ma di elementi narrativi e di gameplay unici, che rendono ogni partita diversa dalle altre.

Il sistema di combattimento di Yōtei è uno degli elementi che più si distacca dal predecessore, aggiungendomaggiore strategia e profondità.

Atsu può scegliere tre stili distinti: ovvero Katana, l’attacco base, veloce e versatile, Odachi lento ma devastante, ideale per infliggere colpi potenti e spezzare le guardie e infine Kusarigama, tecnico e utile per gli attacchi a distanza.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Ad ogni stile si accompagna una o più armi dedicate: Odachi porta con se una enorme Katana da utilizzare a due mani, Katana ci fa scegliere se impugnare una o due lame, mentre per Kusarigama possiamo scegliere tra l’arma omonima (una sorta di falcetto lanciabile tramite una catena) oppure la lancia Yari.

Ogni stile richiede un approccio diverso e una lettura attenta delle mosse nemiche. Il combattimento premia la pazienza, il tempismo e la strategia, trasformando ogni duello in una danza ponderata più che in uno scontro frenetico.

A seconda del nemico che ci troveremo ad affrontare dovremo cambiare in maniera fulminea lo stile e le armi da impugnare, passando da una katana a due alla selezione dell’arma da distanza e via dicendo.

 La curva di apprendimento è ben calibrata: le abilità si sbloccano gradualmente e ogni potenziamento ha un reale impatto sul gameplay. Non si tratta di accumulare bonus a caso, ma di sviluppare un percorso coerente e significativo per il personaggio, rendendo ogni scelta di potenziamento un momento narrativo oltre che tecnico.

Esemplare in tal senso è l’addestramento con le armi di Atsu: inizialmente si percepisce una maggiore difficoltà o minore forza che si traduce ad esempio in più tasti da premere a tempo per tagliare un bambù, mentre una volta padroneggiata la tecnica tutto appare più semplice.

In generale bisogna dire che Sucker Punch ha fatto un buon lavoro nel migliorare i combattimenti, rendendo in maniera convincente quelli che dovrebbero essere i progressi ottenuti nell’arte delle armi in 300 anni.

 Trattandosi di un open world, abbiamo a disposizone moltissime side quest da portare avanti; alcune sono molto importanti per avanzare nel gioco e sopratutto nella lore del mondo di Ghost of Yotei, altre saranno solo un riempitivo per allungare la longevità del gioco.

Potremo svolgere fino alla fine il nostro compito di cacciatori di taglie, andando a cercare fuorilegge per tutta Ezo, oppure andare in giro a scovare dei sensei da cui apprendere quante più tecniche di combattimento possibili o ancora cercare sorgenti termali più o meno nascoste, utili a ritemprarci.

Difficilmente rimarremo dunque senza qualcosa che ci “distragga” dal percorso principale.

 Se hai già giocato a Ghost of Tsushima, le modalità cinematografiche non saranno una novità, ma perchè le ho inserite nel gameplay? Se non avessi giocato al titolo precedente, sappi che anche stavolta abbiamo a disposizione tre diverse tipologie di filtri: Kurosawa, Miikee Watanabe.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Come potresti avere intuito, si tratta di modalità legate a tre importanti cineasti nipponici, ognuno con un proprio stile unico, che viene qui rappresentato. Nella modalità Kurosawa troviamo un bianco e nero poetico, ispirato al cinema classico giapponese, che trasforma ogni scena in un quadro cinematografico. In omaggio a Takashi Miike la scena si riempie colori saturi e contrasti marcati, che accentuano brutalità e dramma. Infine nella modalità Watanabe prende il sopravvento un’estetica narrativa melodica e stilizzata, ideale per un’esperienza immersiva e personale.

 La risposta alla domanda iniziale, a questo punto, è quasi automatica, non parliamo di semplici filtri estetici, ma di elementi che cambiano radicalmente il tono, la percezione e l’impatto emotivo del gioco.

Segnali di stile: grafica e sonoro

 Yōtei è un vero capolavoro visivo. La neve, l’illuminazione dinamica, il dettaglio delle texture e l’attenzione ai particolari creano un mondo credibile e poetico. Ogni scena è costruita come un quadro, studiata con cura maniacale.

Ghost of Yōtei, la recensione (PlayStation 5)

Quello che, lo avrai intuito, mi ha colpito in maniera particolare è la resa della neve: dinamica, si accumula sugli abiti, modifica il terreno e cambia la visibilità. Le modalità cinematiche aggiungono profondità estetica e narrativa, trasformando ogni scena in un’esperienza artistica.

L’illuminazione è uno degli aspetti più impressionanti: il ciclo giorno/notte e le condizioni atmosferiche modificano profondamente l’atmosfera e la percezione del mondo di gioco, aggiungendo profondità emotiva a ogni momento grazie ad un uso sapiente del Ray Tracing che non appesantisce il gioco ma, come detto, amplifica il realismo dell’ambiente circostante.

Non da meno, il comparto sonoro che diventa elemento di spicco del gioco.; la colonna sonora miscela strumenti tradizionali giapponesi e orchestrazioni moderne, creando un tessuto emotivo perfetto per la narrazione. Gli effetti ambientali come vento, passi sulla neve, tintinnio delle lame, sono curati nei minimi dettagli, contribuendo a un’immersione totale.

Anche il doppiaggio italiano è ottimo: Atsu parla poco, ma ogni parola pesa. Le voci secondarie sono caratterizzate e contribuiscono a rendere il mondo vivo e credibile.

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Ghost of yotei
Ghost of yotei
8
Grafica 8
Sonoro 8
Longevità 8
Gameplay 8
Lama affilata 8
Aspetti positivi Ambientazione immersiva e poetica Combattimento più profondo Modalità cinematiche innovative
Aspetti negativi Missioni secondarie ripetitive IA migliorabile Bug occasionali
Considerazioni finali
Definire Ghost of Yōtei  un more of the same è riduttivo: non è solo un seguito, è un’opera di maturità artistica e narrativa. È una storia che unisce introspezione, combattimento strategico e poesia visiva. Un racconto che parla di silenzi, memoria e vendetta. Non è perfetto ovviamente; le missioni secondarie possono risultare ripetitive, l’IA nemica non sempre è all’altezza e il ritmo narrativo alterna momenti di grande intensità a cali di tensione. Ma resta un titolo imprescindibile per chi cerca un’esperienza open world profonda e immersiva.

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