Ci sono giochi che nascono con l’ambizione di far rivivere un’epoca, di risvegliare quella nostalgia videoludica che ci fa ricordare notti passate davanti a uno schermo a tubo catodico, immersi in atmosfere pixelate ma cariche di fascino. E poi ci sono giochi come Everdark: Undead Apocalypse, che finiscono per fare di quell’ambizione il proprio tallone d’Achille. Siamo infatti davanti un titolo che promette un viaggio oscuro e disperato, ma finisce per perdersi nei propri vicoli nebbiosi confondendo l’omaggio con l’imitazione, l’atmosfera con l’effetto scenico. Il risultato? Un’esperienza che tenta di evocare il mito di Resident Evil e Silent Hill, ma senza mai trovare una vera identità.
I non morti non sono quelli che pensiamo
La premessa narrativa di Everdark è, sulla carta, accattivante: una città condannata all’eterna notte, un morbo di origine sconosciuta che trasforma gli esseri umani in vampiri e un protagonista solitario, Vincent Crane, classico ex poliziotto dal passato tormentato, deciso a scoprire cosa si nasconde dietro la diffusione dell’infezione. Il tutto si traduce nella più classica formula del survival horror: isolamento, paranoia e lotta per la sopravvivenza.
Ma se sulla carta l’idea potrebbe funzionare, è la sua realizzazione a vanificarla: la narrazione non riesce mai a decollare, complice una scrittura piatta e priva di ritmo. Le cutscene, seppur presenti, sono montate in modo goffo, e i dialoghi sembrano scritti più per riempire silenzi che per costruire tensione. Il mondo di gioco promette un mistero da scoprire, ma non riesce mai a far sentire il giocatore parte di esso.
Più in generale, va bene che il gioco vuole essere un omaggio a certi videogiochi del passato e una certa scuola horror ma la narrativa di Everdark soffre di una scrittura scolastica in cui l’intreccio è prevedibile e i personaggi mancano di spessore. Vincent Crane, il nostro protagonista, è l’ennesimo eroe tormentato con un passato oscuro e un rimorso irrisolto. Attorno a lui ruotano figure stereotipate: la scienziata pentita, il mentore misterioso, il villain carismatico ma prevedibile. Persino i documenti e gli appunti sparsi per il mondo di gioco, a questo punto grande classico del genere per arricchire la lore, non aggiungono nulla di memorabile. Il risultato è una storia che si gioca più per inerzia che per curiosità senza approdare a nulla di concreto o spiegare davvero tutto quanto ruota intorno alla cittadina che attraverseremo nel gioco.
Gameplay
Sul fronte del gameplay, Everdark tenta di proporsi come un ritorno alle origini del survival horror: munizioni (teoricamente) limitate, gestione oculata delle risorse, enigmi ambientali e un costante senso di vulnerabilità. Tuttavia, la sensazione dominante durante le prime ore non è la paura, ma la frustrazione. I comandi risultano o troppo sensibili o troppo legnosi e si fatica a trovare il giusto equilibrio, i movimenti del protagonista sono poco reattivi e spesso ci si ritrova ad affrontare nemici che compaiono fuori dal nostro campo visivo campo, o peggio, bloccati da un’angolazione scomoda che rende impossibile mirare con precisione.
Il combattimento è uno degli aspetti meno riusciti dell’interno gioco: le armi da fuoco non trasmettono alcuna sensazione di potenza: la pistola standard sembra più un giocattolo, il fucile a pompa ha un rinculo inesistente nonostante sia abbastanza potente e la mira assistita funziona in modo incoerente. Gli scontri finiscono per ridursi a una questione di fortuna e posizionamento, più che di abilità. In un titolo che fa della tensione il proprio motore, l’assenza di un sistema di combattimento credibile è una ferita difficile da ignorare.
Il tutto si riduce a cercare di colpire i nemici fino al momento in cui potremo trafiggerli con il paletto; a seconda del mostro che avremo difronte serviranno dai 3 colpi a salire, con il problema non indifferente che alcuni nemici diventano delle vere e proprie spugne di proiettili tenuto conto un sistema di danni molto rivedibile.
Gli enigmi, altro elemento classico del genere, sono presenti ma privi di inventiva: leve da attivare, simboli da abbinare, porte che si aprono solo dopo aver trovato l’ennesima chiave. Tutto è prevedibile, e mai veramente gratificante. Persino la gestione dell’inventario, che vorrebbe rievocare il fascino dei menù anni ’90, risulta macchinosa e poco intuitiva.
La campagna principale di Everdark, infine, dura tra le sei e le otto ore a seconda del livello di difficoltà. Un tempo accettabile per un survival horror, ma la mancanza di varietà e di profondità narrativa rende difficile trovare la motivazione per rigiocarlo. Gli sviluppatori hanno inserito un sistema di finali multipli, ma le differenze sono minime e non giustificano una seconda run. Anche la modalità sopravvivenza, sbloccabile una volta completato il gioco, non riesce a offrire quella scarica di adrenalina che dovrebbe caratterizzare un titolo di questo genere.
Segnali di Stile
È evidente che gli sviluppatori di Everdark abbiano investito molto nell’estetica. Le prime ore offrono una direzione artistica che colpisce: strade deserte illuminate da luci al neon, pioggia incessante, e una colonna sonora synthwave che crea un contrasto affascinante tra malinconia e adrenalina. Tuttavia, questa magia dura poco. Le ambientazioni si ripetono all’infinito, riciclando texture e scenari in modo evidente e con qualità complessivamente mediocre; anche la varietà visiva è minima, e il fascino iniziale svanisce sotto il peso della monotonia. Per quanto riguarda i modelli dei personaggi siamo davanti ad un prodotto grezzo, poco rifinito con le sue animazioni rigide e volti poco espressivi. Una qualità poco accettabile nel 2025: Everdark mostra tutti i limiti di una produzione a basso budge in cui il motore grafico fatica a gestire luci e ambiente circostanze, con cali di frame rate anche in ambienti chiusi. Le texture appaiono spesso sgranate, e i caricamenti sono lenti e ancora più grave se vogliamo è la quantità di bug: nemici che rimangono incastrati negli oggetti, porte che non si aprono, checkpoint che non si attivano. Piccoli problemi che, sommati, erodono progressivamente la pazienza del giocatore.
Ci sono momenti, però, in cui il gioco riesce quasi a catturare un’atmosfera autentica: un vicolo immerso nella nebbia, una radio che trasmette messaggi incomprensibili, un riflesso fugace negli specchi. Sono attimi isolati, frammenti di quello che Everdarkavrebbe potuto essere se solo avesse avuto una regia più decisa e una visione più chiara sulla direzione da intraprendere.
L’audio, pur avendo una buona base musicale, soffre di effetti sonori poco incisivi e di un doppiaggio poco ispirato. Le urla dei nemici mancano di profondità, e la voce del protagonista, da par suo monotona e priva di intensità, non riesce mai a trasmettere paura. In un horror, il suono è metà dell’esperienza: qui sembra più un’aggiunta dell’ultimo minuto.
