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Lettura DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)
 
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DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

I primi passi dello Slayer

Pasquale Aversano 6 ore fa Commenta! 11
 
8.9
DOOM: The Dark Ages

Sviluppato da id Software e pubblicato da Bethesda Softworks, DOOM: The Dark Ages è il terzo capitolo, nonché prequel ufficiale del reboot dell’omonimo e famosissimo sparatutto in prima persona 3D più brutale, frenetico e adrenalinico di sempre. Noi abbiamo vestito i panni del colossale e impietoso Slayer su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione. Pronto a una nuova e sanguinosissima odissea infernale? 

Contenuti
DOOM: The Dark Ages lanciate lo SlayerDiverso ma non un passo indietroEsplorare e massacrare divertendosiGrafica e sonoroTi potrebbe interessare

DOOM: The Dark Ages lanciate lo Slayer

DOOM: The Dark Ages è il prequel del reboot DOOM del 2016 e del suo sequel DOOM Eternal del 2020, e ha come scopo narrativo principale quello di narrare le vicende dello Slayer, l’iconico protagonista della serie. Per fare ciò, gli sviluppatori hanno dato forma a 22 capitoli per una longevità di oltre venti ore. Parliamo probabilmente della “storia” più corposa e scenica della serie, rafforzata da un gran numero di cut scene dal retrogusto epico e brutale che ben si allineano con le atmosfere del titolo.

Certo, chi gioca DOOM non lo fa per la trama ma, nel caso di DOOM: The Dark Ages abbiamo tra le mani un canovaccio che abusa e sfrutta innumerevoli cliché piegandoli alla sua filosofia, al suo mondo infernale e violento e creando una narrazione innegabilmente esagerata ed “epica”, riuscendo ad esaltare il nostro ruolo con efficacia e creando un’odissea lineare e discretamente varia per il genere. In più, nonostante personaggi di contorno abbastanza accessori e dimenticabili e un cattivo che non brilla per originalità, l’intreccio riesce a fornire anche qualche gradevole e poco prevedibile sorpresa.

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Sterminare demoni ha quindi una spinta in più, una spinta narrativa e che si rispecchia in livelli sempre più dall’ampio respiro in un crescente di “rumore” e caos che si vede non solo nelle cut scene ben studiate e in alcuni casi dal taglio persino cinematografico, ma anche e soprattutto sul gameplay, sul campo di battaglia, dove la figura dello Slayer è colui che fa la differenza e che, da solo, è in grado di ribaltare interi conflitti con colossale clangore. “Lanciate lo Slayer” ricorda quindi un po’ il lancio di “componenti” in qualsivoglia anime giapponese coi robottoni, dove, appunto, per sconfiggere il nemico apparentemente imbattibile, c’era bisogno di un’arma segreta.

Noi siamo quell’arma. In DOOM: The Dark Ages lo Slayer ha un ruolo centrale tanto nella narrazione quanto, ovviamente, nel gameplay di cui parleremo nel dettaglio nei prossimi paragrafi. Parliamo però di uno Slayer diverso rispetto ai capitoli precedenti. Un individuo massiccio, “pesante” e implacabile. Un vero colosso la cui apparizione fa tremare persino i suoi stessi alleati (quelli sopravvissuti) che tremolanti e balbettanti si fanno da parte e mormorano frasi intimorite. Quindi sì, giocare nei panni dello Slayer ti galvanizza, ti fa sentire realmente potente e a tutto ciò si aggiungono due elementi extra di discreto valore, soprattutto scenico.

Il primo è un mecha gigante che, manco a dirlo, si connette ai già citati “anime coi robottoni” solo che questo gigantesco mecha assomiglia più a quelli di Pacific Rim tant’è che è contro mastodontici demoni titani che andremo a utilizzarlo. Il tutto, mentre devastiamo interi palazzi al solo nostro passaggio. Come detto: scenico! Infine c’è lui, un drago alato di discreto aspetto estetico che si aggiunge al nostro arsenale per fasi dedicate e che restituisce, ancora una volta, un impatto visivo di tutto rispetto e discretamente vario rispetto allo standard della saga. 

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Diverso ma non un passo indietro

Togliamoci subito il sassolino dalla scarpa, chi si aspetta una sorta di “more of the same” di DOOM Eternal potrebbe restarne deluso. Il secondo capitolo della saga reboot di DOOM, infatti, ha sorpreso per una velocità e per fasi platform frenetiche e veloci, dove dominare il caos a suon di fucilate e balzi di vario genere. Bene, in DOOM: The Dark Ages il nostro Slayer è una creature molto pesante, più pesante anche del DOOM del 2016. Questo però non va a tradursi in un gioco lento o meno galvanizzante, tutt’altro.

DOOM: The Dark Ages è sempre uno sparatutto in prima persona 3D che ci pone però alla guida di un personaggio che avanza con passo più cadenzato, rumoroso e doloroso. Basta un balzo da un’altura per far esplodere i demoni in chiazze di budella rossastre. Eppure, non è uno Slayer meno atletico, sia chiaro. Possiamo scattare, aggrapparci a pareti, lanciarci da alture e concatenare una serie di attacchi a gran velocità e con un feedback di fuoco eccezionale e che conferma il marchio di fabbrica inattaccabile degli sviluppatori.

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Di diverso c’è che gli scontri sono sì caotici ma molto più ragionati, quasi tattici. Lo scudo conquista un ruolo cruciale, quasi identitario, di questo prequel e non è solo una banale arma di difesa dal fuoco nemico. Con esso, infatti, potrai colpire i nemici con uno scatto fulmineo e devastante ma potrai anche lanciarlo segandoli meravigliosamente in due o creandogli danni temporanei, magari paralizzandone le azioni per qualche secondo. Ma lo scudo è anche elemento di esplorazione con tanto di appigli a esso dedicati. Esplorazione che andremo ad approfondire a breve… tornando al combattimento, invece, tocca parlare dei proiettili.

Sì, perché lo scudo regala un sistema di parry tanto per gli attacchi ravvicinati quanto per quelli a distanza. Ricorda: luce verde, puoi rifletterlo. Tale segnale visivo, infatti, è indice che, se ben parato, puoi rigirare il colpo all’avversario o creargli un temporaneo stordimento. Imparare a usare lo scudo al momento giusto sommando alla sua efficacia le innumerevoli bocche di fuoco a nostra disposizione, è la chiave del successo. 

E parlando di armi, a grandi classici se ne aggiungono di nuovo, quasi tutte esagerate e piacevoli da padroneggiare, oltre a essere tutte potenziabili con alcune che hanno anche un doppio potenziamento da poter cambiare a nostro piacimento. E parlando di potenziamenti, questi vanno ricercati tra i numerosi collezionabili presenti all’interno dei livelli di DOOM: The Dark Ages che, con nostra sorpresa, ha deciso per questo capitolo di espandere notevolmente la sua già ottima struttura, dando ampio respiro senza sacrificare le aree nascoste, anzi.

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Esplorare e massacrare divertendosi

L’esplorazione in DOOM: The Dark Ages è pura gioia. Parliamo di aree ben articolate e potenziate da mappe che riescono a offrire un valido aiuto sin dalle prime battute di gioco, localizzando ogni collezionabile senza però svelare come raggiungerlo. Basta il primo livello di gioco per capire quanto possono essere infami gli sviluppatori, nascondendo spesso la soluzione esplorativa sotto il nostro stesso naso.

Tra monete, rubini, pupazzi giocattolo, skin e tanto altro, i collezionabili di DOOM: The Dark Ages offrono ai completisti un’esperienza vasta, articolata e soprattutto soddisfacente. Svelare un’area nascosta è appagante e aiuta a sviscerare al meglio le aree di gioco intervallando a nostro piacimento alle fasi più caotiche e dominanti (sì, i combattimenti). E parlando di “godimento”, il prequel di casa Bethesda decide di ampliarsi a tutti fornendo una gamma di personalizzazione dell’esperienza capillare e completa.

Puoi trasformare il gioco in un vero inferno videoludico con tanto di permadeath a una vera passeggiata dove sei potenzialmente immortale. A te la scelta. Dal veterano più accanito al neofita che non ha mai sparato un colpo, tutti possono trovare un proprio e personale modo di vivere DOOM: The Dark Ages e questo a noi è piaciuto molto. 

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Tornando agli elementi di gioco, se è vero che in 22 capitoli la ripetitività di fondo si fa sentire, in quanto lo scopo è sempre e quello di sterminare ogni nemico nel modo più meravigliosamente gore e brutale possibile (sì, sono tornate le finisher sanguinose ed esplosive), è altrettanto vero che gli sviluppatori hanno inserito alcuni livelli alternativi. Parliamo di quelli che ci mettono a cavallo di un drago o alla guida di un mecha gigante. Si tratta di livelli più “stretti” che fungono un po’ da variante e offrono un gameplay più semplificato e scenico ma comunque appagante e gradevole. 

Da segnalare, infine, l’assenza di qualsivoglia modalità multiplayer, focalizzando l’esperienza unicamente sulla campagna principale e le sue innumerevoli attività. Infatti, sono incluse anche sfide opzionali che spingono a rigiocare i livelli, oltre alla già citata ricerca dei collezionabili. Inutile dire che, i cultori del multiplayer in salsa DOOM, ne resteranno inevitabilmente delusi. 

DOOM: The Dark Ages, recensione (PlayStation 5)

Grafica e sonoro

Graficamente parlando, DOOM: The Dark Ages è pura gioia. Il campo s’allarga, i nemici aumentano e il fascino innegabile della saga si potenzia e sviluppa in modi inediti, qui più medievaleggianti e gotici con una buona cura al dettaglio. Abbiamo apprezzato praticamente tutto anche se ci tocca segnalare qualche sporadico calo di frame rate, soprattutto nelle situazioni più concitate ma nulla che vada realmente a intaccare l’esperienza di gioco che permane veloce, caotica e bellissima. 

Anche il sonoro si difende molto bene seppur si nota un leggero passo indietro rispetto ai due capitoli precedenti. Nulla di realmente negativo ma in alcune situazioni avremmo apprezzato una carica sonora in più e più “originale”. Il risultato finale è comunque gradevole. Così come è apprezzabile la presenza, sempre più rara, del doppiaggio in lingua italiana. Ovviamente, sono presenti anche i sottotitoli.

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DOOM: The Dark Ages
8.9
Grafica 9
Sonoro 8.5
Longevità 9
Gameplay 9
Aspetti positivi Divertimento puro e violento Lo scudo regala tattica e soddisfazioni Longevità elevata e personalizzazione dell’esperienza Scenico ed esagerato con livelli ancora più ampi
Aspetti negativi Assenza del multiplayer Robottone e drago potevano osare ancora di più Chi cerca un DOOM Eternals “2” potrebbe restarne amareggiato
Considerazioni finali
DOOM: The Dark Ages prova a cambiare un po' le carte in tavola, appesantendo il suo protagonista e offrendo un’esperienza più ragionata ma ugualmente divertente, immediata e splendidamente caotica e violenta. Un’odissea che farà la gioia degli appassionati ma anche dei neofiti, grazie a una vasta personalizzazione dell’esperienza e a una campagna longeva e appagante. L’unica assenza, per chi ne era appassionato, è il multiplayer, sacrificato per una campagna più massiccia e dal respiro ancor più ampio.

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