A poco più di un mese dall’uscita di Switch 2, al netto del popolare Mario Kart e dei pacchetti di aggiornamento per gli ultimi due capitoli di Zelda, Nintendo decide di fare scendere in campo i primi grossi calibri a partire da uno dei suoi personaggi più popolari, Donkey Kong che stavolta vedremo in una veste abbastanza inedita (o comunque diversa dal solito).
Stavolta, a 11 anni da Tropical Freeze e a 30 dall’indimenticabile Diddy’s Kong Quest, il protagonista della saga abbandona la serie Country e si tuffa in un mondo del tutto nuovo. Al momento della presentazione, sapere che il team a lavoro su Donkey Kong Bananza è lo stesso già responsabile di Super Mario Odyssey ci ha fatto un po’ temere la possibilità di trovarsi davanti un clone del riuscitissimo titolo per Switch, al netto delle indubbie capacità di chi lavora in Nintendo EPD. Per fortuna, giusto dirlo subito per sgomberare il campo da ogni dubbio, sono rimaste paure infondate.
Devo anche confessare che la pulce è rimasta nell’orecchio durante la sequenza iniziale di Bananza: da un punto di vista squisitamente grafico è una gioia per gli occhi, però ho avvertito una sensazione di déja-vu in quel tipo di mosse e salti e nella caccia alle pepite d’oro, condite stavolta da un (bel) po’ di pugni.
Con il passare del tempo, abbandonato il primo livello, mi sono reso conto che c’è molto di più in Bananza; è bastato risolvere un enigma in maniera diversa rispetto a quanto suggerito dal gioco stesso, vedere Donkey Kong esultare quasi stupito per avere raggiunto la soluzione, per convincermi definitivamente che siamo in presenza di un gran bel titolo, che deve pochissimo al già citato Odyssey. Se volessi ridurre il tutto ad una semplice frase potrei dire che hanno preso Odyssey, o meglio alcuni suoi elementi cardine, e li hanno mescolati con un bel casco di banane per ottenere qualcosa di caotico, confusionario, e distruttivo. Il tutto, ovviamente, da leggere in senso positivo visto che parliamo di uno dei platform più divertenti degli ultimi anni.
Bananaaaaaa
Se, come dicevo prima, Bananza è il primo titolo tra quelli “principali” a non appartenere alla serie Country, la trama non si distacca particolarmente dal canovaccio classico.

Normalmente le storie di Donkey Kong iniziano tutte con la perdita di tutta la riserva di banane (un vero e proprio tesoro in pratica), giusto? Ecco, stavolta durante l’estrazione del Banandium, su Isola Lingotto, il nostro amico scimmione si ritrova privato dell’intero raccolto e come se non bastasse, sprofondato nel sottosuolo per colpa della Void Company intenta, nomen omen, a creare un vuoto sotto la superficie per raggiungere il cuore del pianeta e massimizzare i propri profitti.
Chiaramente inutile cercare il pelo nell’uovo di una trama un po’ nonsense; è sempre stato così, come non è normale per una principessa farsi rapire per decenni da una tartaruga puntuta. Ma ci interessa realmente? No, infatti Donkey Kong si metterà in marcia per riprendersi ciò che gli spetta di diritto, incontrando nel frattempo niente meno che… Pauline! O meglio, una versione di Pauline leggermente diversa dalla femme fatale che ci aveva ammaliato in Odyssey: qui somiglia più ad una sorta di Vanellope di Ralph Spaccatutto che diventerà una sorta di spalla in grado di aiutarci ad avanzare nel gioco, attraverso il potere del canto.

Da qui in poi, come si suol dire è tutto in discesa, letteralmente in questo caso: la coppia andrà sempre più in profondità attraversando mondi nuovi all’inseguimento della Void, collezionando nel frattempo le gemme di Banandium, aiutando gli abitanti e raccogliendo alcune interessanti Trasformazioni Bananza lungo il tragitto.
Nulla di eclatante o complesso, quanto piuttosto il classico semplice setting che ha l’unico obiettivo di fornire un supporto sufficiente all’azione su schermo. Che poi è la cosa più importante, nonché il motivo per cui i titoli Nintendo normalmente funzionano molto bene.
Gameplay di Donkey Kong Bananza
Laddove in Mario Odyssey avevamo il nostro Cappy tuttofare, in Bananza Donkey Kong ha i pugni nelle mani! L’unico strumento a disposizione dello scimmione sono infatti le sue enormi mani, su cui gli sviluppatori hanno costruito il grosso del gameplay: infatti possiamo distruggere a suon di pugni, scavare, strappare via e lanciare qualsiasi elemento (o quasi) dell’ambiente, sfruttando una meccanica che anche qui trova una leggera controparte tecnica nell’ultimo capitolo di Mario, più precisamente nel Regno dei fornelli e nelle sue montagne di groviera.
Questo elemento fondamentale del gameplay viene introdotto immediatamente, con la sequenza iniziale su Isola Lingotto che serve proprio a mostrarci cosa potremo fare, e distruggere.
Il rischio più grande è quello di lasciarsi inghiottire da questo aspetto del gameplay, bloccandosi in maniera praticamente ossessiva sulle mappe: apprese le basi del gameplay e ricevuto i primi, piacevolissimi, feedback visivi di tutta questa distruzione, con le rocce che più che di pietra sembrano talvolta composte da gustosissimo cioccolato e sapendo anche che dovunque sono nascoste delle banane speciali, il danno è fatto e rischiamo di stare ore fermi in un punto a scavare, spaccare e strappare.
Probabilmente, se l’etica professionale non mi avesse fatto mettere al primo posto la recensione, starei ancora li a scavare ovunque: è un piacere che mi riservo per le prossime run. Troppo piacevole la sensazione di raggiungere un punto semplicemente scavando un tunnel nella direzione voluta o, ancora meglio, trovare casualmente un tesoro nascosto.
Anche stavolta, Kudos per Nintendo per avere trovato una formula di gioco interessante.
Per fortuna gli sviluppatori hanno messo una sorta di limite, dato che in Bananza tutto si può distruggere ma entro certi “limiti” costituiti da pareti di roccia inscalfibile che diventa necessaria per fare comprende al giocatore che oltre i livelli vanno distrutti ma anche esplorati per non perdere di vista l’enorme creatività che è stata messa nel creare il gioco.
Ovviamente, trattandosi di Donkey Kong, abbiamo una importante componente platform che si declina con il resto delle mosse di DK: pugni verso l’alto e verso il basso, salti, rotolate e schiaffi con cui raccogliere più materiale possibile o attivare ad esempio delle piattaforme.
Semplice, funzionale e divertente. Che è esattamente come tutti i videogiochi dovrebbero essere, in fondo.

Per quanto riguarda l’azione, siamo abbastanza liberi di scegliere come procedere, che sia aprendoci la strada a suon di pugni o arrampicandoci per godere di visuali mozzafiato una volta in cima ad una parete. Il gioco stesso ci lascia abbastanza liberi offrendoci dei percorsi veloci e dei punti di risalita agevolata, tuttavia spesso la strada più lunga diventa la scelta migliore, per i motivi di cui sopra.
L’elemento più innovativo del gameplay è probabilmente questo: libertà, concessa ai giocatori di affrontare le sfide come preferiscono. Donkey Kong può sfruttare a piacimento (e a proprio vantaggio) l’ambiente circostante, che si tratti di cavalcare un’ondata di fango oppure sfruttare delle liane o ancora strappare pezzi di terreno per far fuori nemici e boss. Certo, alcune idee ci vengono “subdolamente” suggerite dal gioco stesso, che sembra dire con voce suadente: “così è più divertente”, tuttavia sappi che ci sono sempre due strade (almeno) a disposizione.
Infatti, superata l’introduzione, la parte più soddisfacente del gameplay consiste nel capire da soli come sfruttare le varie meccaniche di gioco in maniera autonoma, combinandole secondo la nostra inventiva.
L’ultimo aspetto peculiare di Bananza sono, come accennato le trasformazioni, che assorbiremo da alcuni abitanti anziani che incontreremo progredendo nel gioco: in buona sostanza si tratta di fusioni tra Donkey Kong e altri animali come zebre, struzzi e via dicendo. Sono utili in alcuni frangenti, ma anche molto strane a vedersi e dalla durata molto limitata; in definitiva, un aspetto da rivedere e rifinire per bene.
Come facilmente intuibile, queste trasformazioni cercano di prendere spunto dagli animali da cui derivano per cui Donkey Struzzo potrà (assurdamente) compiere brevi voli, mentre Donkey Zebra è un power-up più incentrato sulla velocità.
In generale, le trasformazioni sono un elemento che necessita un po’ di tempo per essere metabolizzato a dovere anche da parte dello stesso gioco; all’inizio sembrano quasi esageratamente potenti, per poi assestarsi proseguendo nell’avventura.
Ma, in definitiva, qualsiasi stranezza sembra adattarsi senza troppi problemi in Bananza.
SSe non te la dovessi sentire di affrontare le 30-35 ore di gioco da solo, sappi che è possibile affrontare l’avventura in cooperativa con un altro giocatore che prenderà il comando di Pauline; il tutto fila abbastanza liscio, se non fosse che la possibilità di dare ad entrambi i giocatori il controllo della telecamera ogni tanto complica le cose, incasinando la partita.
Segnali di Stile: grafica e comparto audio
Ogni livello che ci troveremo ad affrontare è un piacere da esplorare, il che è un bene vista la gran mole di cose da fare; ogni ambientazione è caratterizzata da stili diversi, che si riflettono nei suoi abitanti e persino nelle reazioni di Donkey Kong, che rabbrividirà in un livello gelido e suderà parecchio in uno più caldo e interagirà (anche con Pauline) in maniera coerente.
Tutto, a livello grafico, denota una gran cura nel prodotto, dai ciuffi di peli che compongono la pelliccia del protagonista al level design pensato per lasciare più libero possibile il giocatore.
In generale, Donkey Kong Bananza è il primo esempio della potenza di Switch 2 con la grafica a 60 fps fissi, l’audio 3D (utile quando dovremo stabilire in quale direzione procedere) e livelli ricchi di particolari ed oggetti, non tutti però rispondenti alle leggi della fisica in maniera coerente con la realtà.
L’unico punto critico risiede nella telecamera, che talvolta inciampa o si blocca in punti che nascondono l’azione su schermo; ma si tratta di un peccato veniale, facilmente superabile con un tocco di analogico.
Dove Bananza segna un enorme punto a favore è il comparto audio: non solo la traccia musicale è piacevole, ma le canzoni che canterà Pauline sono una delle cose più belle da sentire che abbia mai trovato in un videogioco. E non azzardarti a disattivarle dalle opzioni, perché verrò a saperlo e ti troverò…
Insomma, è impossibile ascoltare le tracce audio di Bananza e non accennare almeno un piccolo passo di danza, anche solo con la testa o le spalle.
E se sei un veterano della serie, potrai sentire anche tanti piacevoli omaggi al passato. Insomma, cosa volere di più?