Deadzone: Rogue si presenta come uno di quei roguelike in prima persona che non pretendono di reinventare il genere, ma capiscono perfettamente cosa lo rende magnetico: ritmo, sfida, e quella spinta a dire “ancora una” dopo ogni caduta. Il contesto sci-fi è quello di stazioni spaziali abbandonate pattugliate da droidi ostili dove noi siamo degli incursori cibernetici che avanzano stanza dopo stanza lungo un percorso lineare e serrato.
Con un design che privilegia la concentrazione sul combattimento e sulla micro-ottimizzazione tra una stanza e l’altra esce come risultato un titolo che, pur non esplorando sentieri radicalmente nuovi, riesce a trasmettere un’identità chiara e un “feeling” da sala giochi moderna.
Gameplay e loop centrale
La partita nasce nel base hub: prepari l’equipaggiamento, prendi l’ascensore e ti butti nella run. Ogni zona è composta da 30 stanze in progressione, con un mini-boss ogni 10 e il boss alla 30ª. Il loop è lineare ma mai piatto: stanze generate proceduralmente, nemici che cambiano ritmo e un flusso di decisioni veloci tra una stanza e l’altra. Le fondamenta sono solide: arma primaria, secondaria, mischia, granate e un set di armature (casco, torace, guanti, stivali).
Il gunplay è secco e reattivo, le hitbox sono oneste, i colpi si fanno sentire e la mobilità incoraggia uno stile aggressivo senza diventare punitivo a caso. Ogni stanza ci fa scegliere tra perk (minori e maggiori), piccole svolte che, nel giro di pochi incontri, trasformano sensibilmente l’intera run. È quel tipo di FPS in cui la morte suona come un consiglio: capisci cosa cambiare, e premi retry quasi d’istinto.

Progressione e buildcraft
La crescita viaggia su due binari. Durante la run raccogli armi e armature con effetti elementali, scegli perk, aumenti capienza dei caricatori, riduci cooldown e cucisci addosso al personaggio un’identità tattica. Fuori dalla run, grazie alla valuta conservata (a prescindere dall’esito), si sbloccano potenziamenti permanenti (danni di primaria/secondaria, ricarica, granate, abilità di base).
Dopo la prima zona entrano in gioco i Superior, pickup aggiuntivi agli outpost che spalancano nuove combinazioni. A fare il salto, però, è il sistema di Sinergie: set e incastri tra perk/equipaggiamento che, una volta attivati, aggiungono bonus ulteriori e cambiano davvero il modo di giocare.

Un esempio? Una build sniper crit a lunga distanza che premia il tiro in ADS, amplifica l’elementale al plasma, gonfia il caricatore e aumenta il danno man mano che si svuota: un mosaico di micro-scelte che, sommate, producono una identità netta e godibile.
Difficoltà, ritmo e rigiocabilità
La curva è dura ma giusta: abbastanza pressione da far sudare, abbastanza controllo da far pensare “posso farcela alla prossima”. Ogni zona affianca alle missioni principali 7–8 secondarie con vincoli (solo melee, solo ranged, varianti tematiche) che obbligano a cambiare approccio; c’è anche un Gauntlet/Arena per vedere fin dove ci si può spingere.
La rigiocabilità nasce dall’intreccio tra stanze, drop, perk e sinergie: due run non sono mai identiche, e il gioco premia sia i comfort pick (le scelte “sicure”) sia la sperimentazione per chi ama min-maxare. La durata “a sessione” è ideale: una run sostanziosa sta intorno ai 30–40 minuti, il tempo perfetto per “una botta di FPS” senza dover pianificare serate intere.
Coop e direzione artistica
La cooperativa funziona davvero bene: c’è il matchmaking pubblico, l’ingresso in partita è semplice e l’interfaccia non ti intralcia mentre dividi risorse e ruoli. In due o più giocatori l’azione si apre: sinergie incrociate, copertura, gestione di granate e crowd control trasformano molte stanze in piccole danze tattiche. Oltre alle tre missioni principali e alle secondarie, il Gauntlet fa da valvola di sfogo arcade: entri, resisti, incassi ricompense, riparti più forte.

La direzione artistica è coerente: acciaio, tubazioni, segnali luminosi, droidi dal design riconoscibile; l’illuminazione guida l’occhio e mantiene leggibile l’azione anche nel caos. Il sound design è “pieno”: spari, impatti, feedback di danno restituiscono sempre quello che succede a schermo.
La colonna sonora non cerca la ribalta, accompagna e basta, ma l’insieme sonoro supporta il ritmo con discrezione e chiarezza. Avrebbe senso, in futuro, spingere su temi più caratterizzati per zone e boss, ma già così l’identità è centrata.
Stabilità, bug e prestazioni
Sul piano produttivo si vede che è un indie (qualche animazione rigida e nemici talvolta “spigolosi”), ma l’insieme è solido e affidabile: nessun bug bloccante, rari incastri dell’AI, salvataggi stabili. Le prestazioni sono buone sulla media delle configurazioni; esistono casi isolati più esigenti, ma l’esperienza resta fluida e reattiva.
Capitolo monetizzazione: ci sono microtransazioni cosmetiche e basta, ma niente pay-to-win grazie a Dio. I giochi si stanno risvegliando un po’, anche se non è da dare sempre per scontato.