Sviluppato da MAGITEC e pubblicato da Kemco, Covenant of Solitude è un nuovo gioco di ruolo in 2D fortemente nostalgico che entra di diritto nel sempre più vasto catalogo di congeneri, molti dei quali pubblicati dalla stessa Kemco. Noi abbiamo vestito i panni di Fort su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione. Pronto a una nuova ed emozionante avventura in salsa fantasy? Si parte per il remoto villaggio di Listy!
Covenant of Solitude prova a dar voce ai geni
Lo diciamo subito: la storia di Covenant of Solitude non è affatto male. Anzi, in rapporto alla maggior parte dei titoli Kemco, presenta una narrazione più matura con personaggi più identitari e caratterizzati. Partiamo dal protagonista, tale Fort, che appartiene, ma suo malgrado, alla razza dei “geni”. No, non è un “super intelligentone” e no, non è neanche come il genio di Aladdin, il genio nel titolo di Kemco è colui in grado di comunicare con i mostri fino al punto di utilizzarli come alleati.
In pratica, è una sorta di allenatore di Pokémon ma con poteri “mentali”. Peccato però che nel mondo di Fort, i geni sono visti prevalentemente in ottica negativa in quanto vengono temuti per i loro poteri e quindi sfruttati o esiliati, se non proprio uccisi. Non sorprende quindi che il nostro protagonista sia bullizzato ed emarginato, cercando in tutti i modi di nascondere la sua vera identità e forte di sole due amicizie: Legna ed Elicia. Ebbene, l’amicizia spesso non basta, soprattutto in tempi di guerra.

L’Impero, una forza conquistatrice e brutale, non tarda a raggiungere il villaggio dei nostri “eroi” e Fort prova a mettere in gioco i suoi poteri con esiti disastrosi che non fanno altro che peggiorare la sua situazione. Il villaggio, infatti, soccombe al nemico e Fort viene fatto prigioniero. Una prigionia lunga anni e che lo vedrà “libero” solo grazie all’aiuto di un particolare e subdolo alleato. Come avrai intuito, le basi dell’intreccio della storia di Covenant of Solitude non sono originalissime ma son ben costruite e trattano comunque tematiche intriganti.
Inoltre, è proprio la storia il nucleo portante dell’intera opera, riuscendo a trainarci lungo un’avventura dalla longevità elevata e soddisfacente ma che scende a patti con una struttura ludica non al passo coi tempi e discretamente anonima. Il problema è che la potenzialità dell’essere geni viene sfruttata prevalentemente sul piano narrativo non ritrovando un riscontro valido, adeguato e originale sul versante ludico. Ma bando alle ciance e andiamo subito a scoprire com’è giocare con Fort e i suoi alleati!

Un classico solido ma che poteva osare di più
Covenant of Solitude è un classico gioco di ruolo in 2D con combattimenti a turni che vede come “innovazione” o elemento cardine, il ruolo stesso di Fort. In quanto genio, il nostro protagonista approfondirà le sue tecniche e migliorerà i suoi poteri riuscendo ben presto a evocare e padroneggiare ben quattro razze di mostri diversi: draghi, fate, vampiri e bestie. Queste creature, tutte esteticamente anonime, sono caratterizzate da una specifica classe di appartenenza che, man mano che progrediscono, potranno eventualmente mutare e perfezionare in base alla nostra personale strategia.
ùLa struttura è molto semplice ma funzionale, solida e accessibile e dona anche un pizzico di strategia extra a un titolo che segue in modo estremamente fedele i classici punti di un gioco di ruolo vecchio stile, inserendosi fin troppo alla cieca nell’immenso catalogo da Kemco stessa alimentato. In parole povere, ci ritroveremo tra le mani un sistema ludico estremamente simile ad altri giochi, fatto di dungeon e città da esplorare, equipaggiamento da migliorare, abilità da gestire e oggetti da acquistare e utilizzare.
In compenso, salvo alcune opzioni personalizzabili, Covenant of Solitude presenta un livello di difficoltà abbastanza soddisfacente, soprattutto nelle boss fight. Questo non si traduce per forza in fasi di grinding noiose ma ci spinge invece a mutare le nostre strategie rendendo il sistema dei mostri più utile e interattivo. Peccato che il bestiario non brilli per varietà e originalità, risultando discretamente anonimo come sono anonime le location che andremo a esplorare

Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Covenant of Solitude soffre dei classici problemi di stampo Kemco. Ad artwork 2D statici abbastanza interessanti ma estremamente anonimi, si somma un 2D scarno che, seppur nostalgico e retrò, non riesce a plasmare un’identità credibile. Un peccato considerando il buon livello narrativo che poteva spingere a un miglioramento estetico o a un pizzico di originalità in più, almeno per i protagonisti.
Le animazioni sono abbastanza rudimentali e scarne mentre c’è un copioso riciclo di elementi anche da altri titoli di Kemco stessa. Il bestiario, come già detto, soffre di una scarsa variabilità e, ancora una volta, carenza di originalità. Anche il sonoro, purtroppo, presta il fianco a una ripetitività in parte estenuante, con jingle brevi e che a lungo andare rischiano di stancare.
Da segnalare, inoltre, la totale assenza della lingua italiana, punto da tenere conto considerando la mole di testo presente. Un peccato in quanto la storia merita di essere letta e compresa, nascondendo più di uno spunto interessante con anche colpi di scena gradevoli. Infine, Covenant of Solitude si difende discretamente bene in entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo, con quella portatile maggiormente consigliata per praticità.