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Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Il fabbro che salverà il mondo

Pasquale Aversano 7 ore fa Commenta! 16
 
8.6
Blades of Fire

Sviluppato da MercurySteam e pubblicato da 505 Games, Blades of Fire è un gioco d’azione e avventura in terza persona che si focalizza sulla vita di un fabbro dai poteri particolari. E, in quanto fabbro, gran parte delle meccaniche ludiche sono focalizzate su quello stesso mestiere con un focus particolare sulle armi dalla loro creazione fino al loro utilizzo. Noi abbiamo indossato i panni di Aran de Lira su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione. Pronto a un nuovo ed emozionante viaggio?

Contenuti
Blades of Fire come forgiare la tua leggendaConosci la tua arma Forgia amore mioUn mondo da esplorareGrafica e sonoro

Blades of Fire come forgiare la tua leggenda

Lo dobbiamo ammettere subito, il primo impatto, sia narrativo che ludico, con Blades of Fire è molto anonimo e ingannatorio. Suggeriamo quindi, calorosamente, di non lasciarsi ingannare dalle prime impressioni e di andare oltre le apparenze iniziali in quanto ci troviamo davanti a un’avventura degna di nota ma che richiede tempo per farsi conoscere e apprezzare come si deve. Ma procediamo a piccoli passi. Il protagonista assoluto delle vicende è un tale di nome Aran de Lira, il cui aspetto massiccio a cui si somma la capigliatura (nonché tratti del volto) può ricordare Gabriel Belmont di Castlevania Lords of Shadow.

Tale paragone non è casuale visto che MercurySteam è lo stesso studio di sviluppo dietro al Castlevania appena citato. Caratterialmente parlando, invece, Aran si avvicina anche un po’ a Kratos la cui analogia è inevitabile a causa della presenza di Adso, una giovane che ci ritroveremo ad avere come spalla e che reclutiamo quasi come se fosse un figlio. Sì, sembra Atreus ma parla meno e possiede anche meno carisma, almeno nelle fasi iniziali. Come detto, per Aran e compagni, ci vuole tempo per conoscerli e per affezionarsi.

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Sappiamo che il mondo di gioco è diventato vittima del giogo di una malvagia Regina, tale Nerea, che ha trasformato l’acciaio in pietra con un potente e oscuro sortilegio. Inoltre, tale governante ha al suo servizio un’armata di abomini pronti a tutto e che possono giovare di essere gli unici ancora in possesso dell’acciaio e, di conseguenza, di armi degne di tale nome. Ma Nerea non è l’unica ad avere un vantaggio notevole. In tutto ciò, l’obiettivo di Aran, abbastanza prevedibile, è appunto quello di raggiungere e porre fine alla tirannia della regina e sciogliere il suo maleficio. 

Per poterlo fare, entra in possesso di un martello dai poteri rari e “unici”, legato ai Forgiatori (di cui vi lasciamo scoprire l’intrigante lore) e che gli viene consegnato proprio nel brutale incontro con Adso che gli diventa da spalla oltre che da supporter arcano per i primi enigmi ambientali. In realtà, ad Adso si aggiungeranno anche altri personaggi decisamente più accattivanti e interessanti da scoprire, ognuno con una propria storia che andrà via via ad evolversi in modi non sempre prevedibili e che danno vita a piccole sottotrame accattivanti e che ben si incastrano nel più vasto e longevo mosaico di Blades of Fire.

Per quanto riguarda la narrazione, dobbiamo anche fare un’ulteriore nota che riguarda il pluricitato Adso. Costui, infatti, servirà anche da utile enciclopedia vagante. Utile ma non sempre affidabile. Infatti, il giovane non è un pozzo di conoscenza vivente ma sa molte cose. Ecco perché a lui è legato un sistema di approfondimenti opzionali composti da una serie di dialoghi lineari che potrai attivare a tuo piacimento e che muteranno al mutare delle situazioni in  game. Il nostro suggerimento, quindi, è quello di parlargli spesso, sia per conoscere il suo parere sia per svelare eventuali approfondimenti su luoghi, storie e folklore del titolo.

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Conosci la tua arma 

Il primo impatto con Blades of Fire non è morbidissimo, andando incontro a una sensazione di anonimato che svanisce gradualmente con il passare del tempo, svelando un titolo che merita di essere vissuto da inizio alla fine grazie a tutta una serie di trovate, soprattutto ludiche, che plasmano un’identità interessante e con più di uno spunto originale e/o sapientemente mixato da altri titoli. Iniziamo col dire che il titolo è classificabile come action adventure in terza persona con una telecamera posizionata molto vicina al protagonista in stile nuovo God of War.

In effetti, con Kratos il titolo sembra condividere più di un aspetto, dalla tipologia di esplorazione alla “pesantezza” del protagonista stesso. Dove però Blades of Fire pone le distanze e accentua la sua “unicità” è il combat system. Siamo davanti a un sistema alla Fallout ma privi di qualsivoglia fucile. Per intenderci, ogni volta che andremo ad affrontare un nemico, anche il più “sempliciotto”, ci ritroveremo ad affrontare un vero e proprio duello dove a contare sarà la nostra arma ma soprattutto i nostri riflessi.

Intorno al nemico, infatti, si creerà un contorno colorato da verde a rosso, dove verde significa “debole” e rosso “immune”. Le zone da poter colpire sono quattro: fianco sinistro, fianco destro, zona alta e zona bassa. Quattro come quattro sono i colpi a nostra disposizione, sapientemente e comodamente affidati ai classici tasti a destra del pad. Colpire una debolezza, neanche a dirlo, causerà maggior danno al nemico laddove colpire una zona rossa, ci farà rimbalzare indietro il colpo senza causargli alcun tipo di dolore. 

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Per scovare la debolezza del nemico, toccherà forgiare e padroneggiare diverse tipologie di armi, vere e proprie protagoniste del titolo  il cui peso, nonché feedback digitale, è più che credibile e appagante. La differenza tra un pesante martello da guerra e una coppia di pugnali, è evidente e tangibile. Su questo, Blades of Fire è praticamente inattaccabile, considerando anche l’approfondito sistema di forgiatura di cui possiede e che andremo ad approfondire nel dettaglio nel paragrafo dedicato.

Tornando ai combattimenti, grazie anche a un buon sistema di lock e a un uso credibile degli ambienti (tra l’altro anche discretamente distruttibili), questi appagano e soddisfano grazie anche a un livello di sfida non ancorato al level up del protagonista (non c’è esperienza da accumulare) ma alla nostra effettiva bravura oltre che alla qualità delle armi che si impugnano. Certo, cercando determinati collezionabili, è possibile aumentare il massimale dell’energia vitale e la stamina, a cui è legata la corsa e la schivata, ma se non si è bravi a combattere, non si durerà molto nel crudele mondo di Blades of Fire.

Un mondo fatto di insidie e infarcito da un discreto numero di nemici che spicca per variabilità e intelligenza. Certo, non mancano i classici “zombie” che si possono flagellare con un colpo solo ma questi possono essere trasformati in bombe incendiarie vaganti se maledetti da uno scheletro infuocato e corazzato… e che dire del troll che ti lancià la pupù poco dopo averla “liberata” dinanzi a te? Questi sono alcuni esempi di minion e mid boss ma dove Blades of Fire splende per strategia e complessità di combattimento sono le boss battle, alcune veramente ben realizzati e galvanizzanti. 

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Forgia amore mio

Blades of Fire ha come protagonista un fabbro e quindi è scontato che un elemento essenziale sarebbe stata proprio la pratica di forgiatura delle armi. Anche qui, come gran parte del titolo, il primo impatto col minigioco di realizzazione delle armi può risultare respingente ed estraneo. In realtà, è un sistema molto intelligente e logico di distribuzione del metallo, con un puntatore a schermo da ruotare e il calore da aumentare.

Lo scopo è di disporre quanto più “materiale” possibile entro i limiti imposti dall’arma di riferimento. Limiti che mutano al mutare dell’arma e del suo sottogenere. Man mano che si distribuiscono i materiali correttamente, si otterranno delle stelle (il cui massimale va sbloccato scovando ulteriori collezionabili in giro per il mondo di gioco). A cosa servono queste stelle? Semplice: a ogni stella combacia una riparazione. Terminate le stelle, l’arma non potrà più essere riparata.

Ebbene sì, in Blades of Fire le armi si consumano fino a rompersi. Puoi limare le lame, ma funge da palliativo per cercare di ottimizzare il filo dell’arma. Filo che è essenziale in quanto a esso sono legati i danni inferti ai nemici. Ma come si crea un’arma forte? Semplice: utilizzando i progetti (anche questi da recuperare in giro per il mondo) e impiegando materiali rari e preziosi. Questi ultimi, fanno parte di un sistema di crafting vitale ma non noioso che si spalma nel corso dell’avventura in modo omogeneo e coerente.

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Banalmente, otterrai materiali sconfiggendo nemici, scovando scrigni e distruggendo l’ambiente circostante. Spesso, combattendo i nemici, devasterai anche l’ambiente e questo si traduce in un’ampio bottino di fine conflitto. Tornando alle armi, queste sono quindi “potenziabili” in base alla struttura che si decide di dare e alla tipologia di materiali impiegati nella lavorazione ma non sempre la forza è il valore giusto da tenere d’occhio. Infatti, a seconda delle tue scelte, altri valori verranno penalizzati come il vigore dell’arma stessa e la sua durabilità nei conflitti. Inoltre, la lama per alcune armi è duplicemente essenziale visto che, come la lancia, può essere usata in due modi, con due rispettivi set di mosse (lama di “fianco” o la punta stessa).

Creare un’arma, diventa quindi un atto strategico che diverte e coinvolge attivamente. Inoltre, il mini gioco di fabbricazione dell’arma, che alla lunga potrebbe diventare ripetitivo, diventa opzionale dopo il primo tentativo, dando così la possibilità di creare direttamente l’arma col numero di stelle raggiunto in precedenza. E se te lo stai chiedendo, sì, dovrai portare con te diverse tipologie di armi e anche più tipi della stessa, considerando eventuali fratture in corso d’avventura. 

E se dovessi morire durante uno scontro, sappi che non c’è un vero game over ma il ritorno all’ultima incudine con cui hai interagito e la perdita temporanea dell’arma che si impugnava (che potrei recuperare tornando nel punto in cui sei deceduto). L’incudine funge da falò, qui potrai riposare ricaricando l’energia vitale e facendo anche ritornare alcuni nemici precedentemente sconfitti (sì, alla soulslike), trasferirti nella forgia per creare armi o teletrasportarti a un’altra incudine con cui hai già interagito in precedenza. Tutto ciò va a potenziare un altro aspetto del gioco che ci ha piacevolmente colpito: l’esplorazione.

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Un mondo da esplorare

Esplorare in Blades of Fire è semplicemente divertente. Il mondo di gioco che può sembrare apparentemente lineare e minimalista, in realtà è un dedalo tanto orizzontale quanto verticale, infarcito di segreti, nemici, trappole e vie alternative e/o scorciatoie da svelare, il tutto per un mondo di gioco vario e assolutamente gradevole da scoprire. Sì, ti perderai e molto, considerando che non avrai una mappa chiara a tua disposizione e le linee guida da seguire non sempre sono ovvie.

Molto è lasciato al tuo intuito, alla sensazione e al mondo di gioco stesso. Non sempre Adso o Aran stesso sapranno dirti chiaramente cosa fare o dove andare e questo, per alcuni, potrebbe risultare un limite. Personalmente, abbiamo apprezzato questa mancanza di “esser tenuti per mano” e abbiamo avuto modo di scoprire passaggi inesplorati e affrontare nemici opzionali di vario genere. Ci siamo persi spesso e più volte abbiamo percorso sentieri già battuti in precedenza, affrontando anche scontri più e più volte, marcando così una ripetitività ludica innegabile, eppure una cosa non è mai mancata: il divertimento.

Presenti anche enigmi ambientali di vario genere e collezionabili intriganti da attivare, come un corvo da dover inseguire in più punti in determinate aree del mondo di gioco. Da citare, anche, il sistema di “rune”, affidate da particolari “entità” e che offrono bonus inediti alle nostre armi, come la possibilità di colpire determinate creature “evanescenti” e, contemporaneamente, l’abilità di interagire con determinati luoghi indicati con la medesima runa. 

Blades of Fire, recensione (PlayStation 5)

Grafica e sonoro

Graficamente parlando, Blades of Fire si difende molto bene. Il colpo d’occhio generale è lodevole per profondità e cura del dettaglio. Apprezzabili anche i “biomi” che si mescolano tra loro coerentemente. Sì, come già detto, c’è un po’ un alone di anonimato che colpisce tanto i personaggi quanto le location stesse ma è solo questione di tempo. Bisogna conoscersi e scoprirai un mondo che in sé nasconde piccole idee uniche e belle da vedere ed esplorare. 

Ottime le animazioni, ben curate soprattutto negli scontri. Si sente la differenza tra un colpo caricato e uno normale così come l’impatto contro una parete se si usa un’arma troppo lunga è assolutamente apprezzata e non scontata. Da segnalare qualche fugace rallentamento nei momenti più concitati ma non abbiamo avuto problemi gravi di alcun tipo. Buono anche il sonoro, dal doppiaggio in inglese alle ottime musiche medievaleggianti e atmosferiche che si insinuano, spesso a sorpresa, nella nostra avventura, arricchendo il tutto con efficacia.Infine, da segnalare la graditissima presenza dei sottotitoli in lingua italiana.

Scopri tutto su Blades of Fire
Blades of Fire
8.6
Grafica 8.5
Sonoro 8.5
Longevità 8.5
Gameplay 9
Aspetti positivi Un crescente di bellezza e stupore Combat system intelligente, stratificato e divertente Esplorazione gradevole e articolata Tanto da fare e scoprire Narrazione con più di un punto interessante
Aspetti negativi Primo impatto abbastanza anonimo Mappa imprecisa e poco chiara Per alcuni può risultare dispersivo
Considerazioni finali
Blades of Fire ha un impatto anonimo che consigliamo calorosamente di superare. Dopo i primi passi, infatti, si entra in un mondo vasto e ammaliante, ben architettato e gradevolissimo da scoprire e affrontare. Il combat system stupisce, coinvolge e soprattutto diverte. Come diverte l’esplorazione, fortificata da un level design intelligente e mai noioso, seppur minacciato da una mappa poco chiara e da mancanza di linee guida “moderne” (mancanza che per alcuni potrebbe essere un pregio). La storia è un crescente, così come è un crescente l’intero gioco. Una perla sapientemente forgiata e che suggeriamo di non perdere.

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