Ci sono giochi che tornano perché il mercato lo chiede, perché la parola remake funziona bene nei comunicati stampa e perché la nostalgia, oggi, è una moneta spendibile. E poi ci sono giochi che tornano per un motivo diverso, quasi più scomodo: perché qualcuno si è ricordato che non tutto ciò che è rimasto indietro meritava di essere dimenticato.
Tomba! 2, o meglio Tombi come lo conoscevamo all’epoca, appartiene senza discussioni alla seconda categoria; uscito originariamente alla fine degli anni ’90, il secondo capitolo delle avventure del protagonista dai capelli rosa è sempre stato un titolo difficile da etichettare oltre ad essere l’ultimo prodotto da Whoopee Camp. Platform, sì, ma anche avventura. Colorato e apparentemente spensierato, ma in realtà strutturato, complesso e spesso sorprendentemente esigente: un gioco che non spiegava tutto, che non aveva paura di lasciare il giocatore spaesato e che costruiva la propria identità su un equilibrio strano, quasi anarchico.
Il suo ritorno su PlayStation 5, sotto forma di Special Edition, non è un’operazione nostalgia urlata né un remake spettacolare pensato per impressionare con la potenza tecnica. È qualcosa di più silenzioso e, per certi versi, più rischioso: un vero e proprio recupero filologico che prova a rendere di nuovo giocabile un’esperienza senza snaturarla, accettandone limiti e virtù.
Ed è proprio qui che Tomba! 2 si gioca la sua partita più importante: dimostrare che un gioco profondamente figlio del suo tempo può ancora funzionare oggi, se trattato con intelligenza e rispetto.
Maiali e sfollagente
Parlare di trama in Tomba! 2 significa accettare fin da subito che non ci troviamo davanti a una narrazione tradizionale. Non c’è un intreccio lineare, non esistono veri colpi di scena cinematografici e nessuno si prende la briga di spiegarti tutto passo dopo passo. Eppure, il mondo di gioco è sorprendentemente coerente.
La minaccia dei maiali Koma fa da sfondo all’intera avventura ma più che un vero antagonista narrativo rappresenta un catalizzatore; Tomba non è il classico eroe predestinato senza macchia e senza paura, non parte per salvare il mondo per senso del dovere. Si ritrova semplicemente coinvolto, un problema alla volta, in una situazione sempre più grande di lui.
La narrazione è quasi interamente ambientale; i villaggi che incontri, i personaggi con cui interagisci, le missioni che accetti spesso senza sapere dove porteranno. Tutto contribuisce a costruire un mondo che si racconta da solo. Non c’è mai la sensazione di seguire una storia già scritta, quanto piuttosto quella di vivere dentro un ecosistema bizzarro ma vivo.
Le missioni secondarie non sono un riempitivo. Anzi, sono il vero motore dell’esperienza. Spesso non sai se quello che stai facendo è fondamentale o opzionale, ma quando un evento si sblocca, un’area cambia o un personaggio reagisce, capisci che ogni azione aveva un peso. È un approccio narrativo che oggi potrebbe sembrare antiquato, ma che restituisce qualcosa di sempre più raro, ovvero una sensazione di scoperta autentica.
Gameplay di Tomba! 2
Il gameplay di Tomba! 2 è probabilmente l’elemento che più mette alla prova il giocatore moderno. Non perché sia mal progettato, ma perché rifiuta deliberatamente molte delle convenzioni attuali.
Siamo di fronte a un platform 2.5D che mescola esplorazione, salti di precisione, combattimenti leggeri e puzzle ambientali. La struttura è volutamente irregolare: si avanza, si torna indietro, si sbloccano nuove abilità e si ripercorrono aree già visitate sotto una luce diversa.
Non esiste un percorso giusto chiaramente indicato. Il gioco ti chiede di osservare, sperimentare, fallire e riprovare; in definitiva è un’esperienza che oggi può risultare spiazzante, soprattutto per chi è abituato a indicatori costanti e obiettivi sempre esplicitati.
Il sistema di movimento è semplice, ma cruciale. Ogni salto va calcolato, ogni interazione con l’ambiente va capita. Il combattimento è presente, ma resta un elemento secondario: funzionale ma mai protagonista. La vera sfida è comprendere le regole del mondo, non sconfiggere orde di nemici.
La Special Edition, pur lasciando quasi tutto come lo avevamo trovato nel 1998 introduce alcune migliorie fondamentali che cambiano sensibilmente il ritmo dell’esperienza. Il salvataggio libero elimina molte delle frustrazioni storiche, mentre la funzione rewind permette di correggere errori senza spezzare completamente il flusso di gioco.
Queste aggiunte non banalizzano Tomba! 2. Al contrario, lo rendono più onesto. La difficoltà resta, l’approccio criptico rimane, ma il gioco smette di punire il giocatore in modo eccessivo per un singolo errore.
Il level design, ancora oggi, è uno degli aspetti più riusciti. Ogni area è costruita per stimolare la curiosità e la sperimentazione. Non sempre è chiaro cosa fare, ma quando una soluzione emerge, la soddisfazione è enorme. Ed è una soddisfazione che nasce dall’aver capito, non dall’aver semplicemente eseguito. Insomma, chi sa fare sa capire come si suol dire.
Segnali di stile: grafica e sonoro
Dal punto di vista tecnico, in questo caso Tomba!2 è una riedizione dichiaratamente conservativa. Non cerca di stupire, non prova a reinventare, ma lavora per rendere solido e fruibile ciò che già esisteva.
La grafica è stata ripulita e resa più definita, mantenendo intatta la direzione artistica originale. Colori saturi, personaggi caricaturali e ambientazioni surreali restano il cuore visivo dell’esperienza. È una scelta giusta: snaturare l’estetica avrebbe significato perdere gran parte dell’identità del gioco.
Ne consegue che su PlayStation 5 il gioco gira in maniera impeccabile: caricamenti rapidissimi, fluidità costante e nessun problema tecnico rilevante. Un aspetto fondamentale per un titolo che vive di tempismo e precisione.
La colonna sonora resta uno degli elementi più riconoscibili: allegra, stravagante, perfettamente in linea con il tono dell’avventura. Qualche opzione in più avrebbe fatto piacere, ma il comparto audio svolge comunque egregiamente il suo lavoro.