Il panorama videoludico legato all’horror si è da sempre configurato come un territorio particolarmente complesso, un terreno in cui il rischio di scivolare nel banale o nello stereotipo è costantemente in agguato e in cui riuscire a creare un prodotto capace non soltanto di spaventare, ma anche di catturare in maniera duratura l’attenzione del pubblico, rappresenta una sfida tutt’altro che semplice.
All’interno di questo contesto, e in particolare nell’ambito della scena indipendente, che da sempre si muove tra sperimentazione creativa e limitazioni tecniche, troviamo il titolo di cui parliamo oggi: Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken, una nuova esperienza horror che sceglie di inserirsi in un settembre insolitamente denso di uscite e di proposte di rilievo, un mese che non esita a mostrare un volto competitivo e in cui non mancano nomi altisonanti destinati a monopolizzare l’attenzione dei giocatori.
Il progetto, sviluppato da Scriptwelder e distribuito da Armor Games Studios, non si presenta infatti in un momento qualsiasi, ma giunge in un periodo di particolare fermento per il genere, un arco temporale che vede da un lato il ritorno di studi affermati, come Bloober Team con il loro nuovo lavoro, Cronos: The New Dawn, e dall’altro il riaccendersi dell’interesse per una saga leggendaria come Silent Hill, che attraverso Konami si appresta a tornare con l’atteso Silent Hill F, previsto proprio per la fine di settembre.

In questo scenario, Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken sceglie di puntare su un approccio narrativo intenso e su una direzione artistica precisa e coraggiosa, affidandosi a uno stile grafico che richiama con decisione l’estetica e l’atmosfera dei giochi horror della prima generazione PlayStation o allo stile pixel-art, molto amata e quasi immortale da molti utenti , un richiamo nostalgico che non è mero esercizio di stile, ma strumento evocativo per ricreare quel senso di inquietudine visiva che nasce proprio dall’imperfezione e dalla crudezza delle forme.
Ed è dunque con queste premesse, tra richiami al passato e nuove ambizioni, che ci apprestiamo ad addentrarci in questo incubo digitale, analizzando ciò che Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken ha da offrire all’interno della sua proposta.
Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken – Un sogno da svelare
Quando un’opera decide di affrontare un tema tanto delicato quanto denso di suggestioni, come quello dei sogni e degli incubi che si confondono e si intrecciano con la realtà fino a renderne labili i confini, lo spaesamento diventa una componente inevitabile, quasi necessaria, che accompagna il giocatore fin dalle prime battute; è proprio in questo terreno ambiguo e sfuggente che si muove Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken, avventura in cui vestiamo i panni di Amy, una protagonista che si ritrova sin dall’inizio catapultata in uno scenario sospeso tra ordinario e allucinato.
L’apertura della storia di Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken ci colloca su un treno, un luogo all’apparenza comune ma che assume subito un valore simbolico, dove impariamo a gestire le prime meccaniche basilari come l’inventario e l’interazione con gli oggetti, dettagli che paiono insignificanti e che invece anticipano un percorso di scoperta ben più profondo.
La scena si sdoppia presto nella camera da letto di Amy, un ambiente familiare ma disseminato di oggetti curiosi, quasi reliquie della memoria, che ci invitano a scrutare con attenzione: dietro quell’apparente quotidianità si cela il cuore della vicenda, ossia il tentativo disperato della protagonista di ristabilire un contatto con il fratello Thomas, morto ma presente nel mondo onirico, unico varco che le consente di incontrarlo di nuovo.
L’inizio, con il semplice gesto della consegna di un biglietto al controllore – un tutorial mascherato da normalità – si trasforma rapidamente in un momento di rottura, segnando il passaggio da una dimensione ordinaria a un racconto che si biforca attraverso dialoghi e scelte narrative, e che non tarda a far emergere l’anima autentica del gioco.

Amy è caratterizzata con precisione: il suo desiderio di rivedere Thomas non è soltanto una spinta emotiva, ma un vero e proprio motore narrativo che si riflette in ogni conversazione e scelta, rafforzato da dialoghi curati e sorprendentemente incisivi, capaci di trasmettere una tensione intima e credibile. È evidente come il team abbia investito con attenzione in questo aspetto, rendendo la componente narrativa una delle più riuscite: il tono ramificato, i dialoghi ben calibrati, la capacità di evocare malinconia senza mai cadere nel melodramma sono elementi che danno spessore e carattere all’esperienza.
Il mondo onirico di Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken non viene mai presentato come semplice sfondo decorativo, ma assume un peso coerente con l’obiettivo principale della protagonista: ogni sogno, per quanto assurdo o surreale, non è mai un divagare gratuito, bensì un passo ulteriore nella sua ricerca di senso, un atto di escapismo carico di inquietudine ma anche di speranza, un viaggio tra simboli e paesaggi che riflettono le fratture della sua interiorità. A questo si aggiunge la presenza di NPC enigmatici e affascinanti, che incarnano lo stesso mistero e lo stesso tono sospeso dell’opera, rafforzando la sensazione di trovarsi in un luogo dove nulla è lasciato al caso e tutto sembra vibrare di significati nascosti.

Il potere dei sogni
Sul piano ludico Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken si configura come un esperimento coraggioso, un’avventura punta e clicca che mescola in maniera piuttosto originale enigmi ambientali, fasi di esplorazione e un sistema di combattimento a turni con sfumature quasi da GDR. Il cuore pulsante dell’esperienza resta però il connubio tra enigmi e progressione, un aspetto che si rivela senza dubbio il più riuscito. Gli enigmi spaziano dal classico abbinamento di simboli a sfide più articolate, come ordinare bagagli nelle stanze corrette, forzare casseforti decifrando codici nascosti o persino spegnere incendi e riparare oggetti danneggiati.
Alcuni puzzle si distinguono per creatività, altri giocano sulla logica pura; in ogni caso il titolo mantiene un equilibrio soddisfacente, senza cadere né nell’eccessiva semplicità né in una complessità frustrante. Gli indizi, disseminati nell’ambiente o suggeriti nei dialoghi, guidano senza mai risultare invadenti, costruendo un ritmo che tiene costantemente viva l’attenzione.Diverso il discorso per il combattimento a turni di Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken sulla carta un’idea interessante, nella pratica un sistema funzionale ma dal ritmo fin troppo lento, che fatica a tenere alta la tensione. Si affrontano creature generate dal subconscio onirico di Amy, utilizzando armi bianche o oggetti improvvisati, il tutto arricchito da un sistema di durabilità che impone di gestire con parsimonia le risorse.
Ogni arma, infatti, ha un numero limitato di utilizzi prima di rompersi definitivamente, costringendo a improvvisare con ciò che si trova lungo il percorso. Una trovata che inizialmente crea tensione in Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken, ma che a lungo andare può diventare più frustrante che stimolante, visto che la durata delle armi è piuttosto ridotta.

A mitigare questa rigidità entra di Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken la meccanica dei punti concentrazione, che consentono ad Amy di ricreare un oggetto già posseduto, sia esso un’arma o un consumabile. Una soluzione intelligente, che tuttavia resta vincolata a una disponibilità limitata: il rischio di abusi è evitato, ma in compenso ci si trova a volte disarmati davanti a picchi di difficoltà poco bilanciati, soprattutto durante i boss fight, dove la progressione appare altalenante e meno rifinita. Ne deriva un comparto combattimenti godibile nelle intenzioni ma non perfettamente centrato nell’esecuzione.
Pixel-Art e Nostalgia
Sul versante visivo , Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken si presenta come un incubo in pixel art, ma ridurlo a una semplice operazione nostalgica sarebbe riduttivo. L’estetica richiama sì il fascino retrò, ma non si limita ai cliché del genere: c’è una cura stilistica che rievoca con decisione atmosfere da PlayStation 1, mescolando suggestioni che ricordano classici come Resident Evil, Silent Hill o persino Alone in the Dark. Ogni ambientazione è pensata per trasmettere inquietudine e mistero, con scenari vari e artisticamente ricchi, capaci di dare personalità a un mondo che vive di tensioni sottili e visioni disturbanti.
Tecnicamente il titolo si difende bene: la risoluzione nitida e il frame rate solido garantiscono un’esperienza scorrevole, con rarissimi cali e bug marginali che non compromettono la giocabilità – durante la prova, l’unico problema rilevante è stato un freeze isolato, mai più ripresentato. Sul fronte sonoro, invece, il lavoro è sorprendente in Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken: le musiche accompagnano con naturalezza le fasi dell’avventura, amplificando l’atmosfera onirica, mentre gli effetti audio sono ben calibrati e capaci di rafforzare la tensione nei momenti giusti.
L’unica vera nota stonata riguarda la localizzazione: Deep Sleep: Labyrinth of the Forsaken offre solo due lingue, inglese e polacco, lasciando fuori l’italiano. Un’assenza che pesa, soprattutto per un gioco così incentrato su dialoghi e sottotesti narrativi. L’inglese rimane comunque accessibile anche a chi ha una conoscenza intermedia, ma inevitabilmente qualche sfumatura si perde, ed è un peccato che un lavoro così curato non abbia cercato di raggiungere un pubblico più ampio.