Sviluppato e pubblicato da Retrofiction Games in sinergia con Eastasiasoft, Dead of Darkness è un survival horror in 2D in pixel art dall’impostazione classica e dal retrogusto fortemente retrò e nostalgico che rievoca, neanche troppo indirettamente, il buon vecchio capostipite di Resident Evil. Noi abbiamo affrontate le disavventure dell’investigatore privato Miles Windham su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione. Pronto a una nuova ondata di orrori?
Dead of Darkness e l’horror in pixel
Dead of Darkness entra nel mondo degli horror in punta di piedi, lo fa timidamente, sfruttando un’estetica che potrebbe essere ignorata da molti. Al gore visivo e all’estrema messa in scena molto in voga nel presente, il titolo firmato Retrofiction Games, sceglie di rannicchiarsi in pochi pixel, sfruttando atmosfera e gameplay, oltre che la narrazione, per instillare un orrore vecchio stile, fatto di tangibile debolezza ludica e piccole sorprese.
L’effetto è riuscito ma è altalenante. Procedendo con ordine, siamo in Inghilterra, anno 1985, e vestiamo i panni dell’ex poliziotto e attuale investigatore privato Miles Windham. Un uomo solo e consumato da un passato che lo logora lentamente e inesorabilmente. La situazione cambia drasticamente quando il nostro protagonista riceve un messaggio misterioso che potrebbe finalmente fargli fare “pace” col passato che gli pesa sulle spalle.

Ecco quindi che lascia tutto e parte per Velvet Island alla ricerca di risposte. Purtroppo, ad accoglierlo, ci sono solo tante, troppe domande unite a una situazione surreale. Gli abitanti, infatti, sono decisamente strani e insolitamente aggressivi. Insomma, la situazione è “pesante” e il buon Miles è costretto da subito a mettere da parte il suo obiettivo, assecondando una serie di eventi che semplicemente non può controllare.
Per sua fortuna, non è l’unico “alieno” del posto, insieme a lui, infatti, si è imbarcata anche Olivia Greene, giovane infermiera appena assunta proprio su Velvet Island. Ebbene, Miles e Olivia sono i protagonista dell’intera vicenda e saranno presto vittime di eventi sempre più assurdi e brutali. Un mix di orrori che si snoda attraverso storie e leggende legate all’isola e ai suoi abitanti e che, nonostante un ritmo narrativo imperfetto, riesce a tenere ancorati allo schermo da inizio alla fine.
Dead of Darkness, infatti, non è orfano di colpi di scena così come la sua atmosfera, condita dai già citati ed efficaci personaggi decisamente bizzarri, riesce a comunicare l’orrore che pervade la storia, affrontando anche situazioni decisamente brutali in modo diretto e senza grossi sconti. Quindi sì, c’è una sorta di tensione, alimentata da un mistero che si snocciola gradualmente e il cui risultato finale, seppur non brillante sul versante dell’originalità, riesce comunque a soddisfare.

Un gameplay classico
Dead of Darkness è un survival horror in terza persona in 2D estremamente classico e che riprende la struttura ludica del primo Resident Evil traslandola in pianta pixellosa e bidimensionale. Banalmente, come nel capostipite Capcom, anche qui ci ritroviamo inizialmente bloccati in una villa alle prese con orrori che non sappiamo spiegare ma che, come i famosi zombie, non ci risparmieranno la loro cieca e brutale rabbia. A tale ferocia, avremo dalla nostra poche munizioni e armi contundenti che si logorano man mano che si utilizzano.
Per quanto riguarda le bocche da fuoco, inizialmente è una sola pistola ma potremo presto sbloccarne altre a patto di individuarle e risolvere il rispettivo enigma ambientale. Ma le armi, da sole, non bastano, servono le munizione e queste sono molto, troppo, limitate. Sì, il titolo prevede diverse modalità di difficoltà con più di un aiuto a disposizione ma la modalità “standard” è discretamente punitiva. Il motivo è semplice: Dead of Darkness non spinge al combattimento, anzi.

Considerando il numero di nemici (esteticamente non molto vari) e la loro quantità di energia vitale, è palese che il titolo inciti all’evitarli con la conseguenza di vederci letteralmente correre da una parte all’altra, inseguiti da mostri, per fortuna, prevalentemente lenti e goffi. Certo, le aree ristrette non aiutano e può capitare di essere comunque feriti. Per fortuna ci sono oggetti consumabili in grado di curare sia l’energia vitale che la sanità mentale. Quest’ultima cala a ogni colpo e può portarci ad avere visioni o complicazioni di vario genere nell’esplorazione e nel combattimento.
Anche qui, come per le munizioni, gli oggetti curabili sono rari e tocca quindi usarli con parsimonia. Per quanto riguarda l’esplorazione, invece, questa segue un modello estremamente standard e nostalgico ma efficace. Si tratta di studiare il luogo e concatenare una sequela cronologica di enigmi fatti di oggetti da scovare e utilizzare nel punto giusto. Sì, non tutti gli enigmi sono obbligatori ma suggeriamo di sondare ogni anfratto per raccogliere quanti più bonus possibili e svelare anche qualche piccolo extra narrativo in più.
Da segnalare anche la già citata possibilità di combattimenti ravvicinati… che purtroppo non appagano quanto dovrebbero. La colpa è di un sistema di hit-box inefficace, grezzo e impreciso. Bisogna avvicinarsi molto ai nemici e non sempre i colpi sferzati vanno a segna. Inoltre, più ti avvicini, più ci sono possibilità di essere malmenato a tua volta. Questi si traduce in buffi e scomodi mordi e fuggi rapidissimi. Se a ciò aggiungiamo che i colpi ravvicinati tolgono molto meno rispetto ai proiettili, capirai che queste tipologie di armi servono solo in casi di estrema emergenza.

Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Dead of Darkness offre una buona atmosfera retrò e palesemente nostalgica, rafforzata da una buona pixel art che, seppur riciclata in più frangenti, riesce a risultare convincente ed efficace. Anche gli orrori, inclusi gli incubi legati alla sanità mentale (e non solo) sono efficacemente rappresentati su schermo, nonostante un’evidente limitazione tecnica. A ciò si aggiungono anche degli artwork statici in 2D che donano carattere ai vari personaggi.
Il sonoro è di buon livello, offrendo un buon accompagnamento senza risultare ridondante o fastidioso. Manca una traccia realmente memorabile ma possiamo comunque aggiungere un buon doppiaggio in lingua inglese e un sapiente, seppur limitato, utilizzo di rumori ambientali. Da evidenziare e apprezzare la presenza dei sottotitoli in lingua italiana, nonostante qualche piccolo errore. Infine, il titolo si difende bene in entrambe le modalità offerte dall’ibrida Nintendo.