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Lettura 63 Days, recensione (PlayStation 5)
 
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63 Days, recensione (PlayStation 5)

Desideri di libertà

Pasquale Aversano 8 mesi fa Commenta! 8
 
6.5
63 Days

Sviluppato e pubblicato da Destructive Creations (gli stessi autori di War Mongrels), 63 Days è un videogioco strategico in tempo reale con focus particolare sullo stealth e ambientato durante la Seconda Guerra mondiale in Polonia. Noi abbiamo vissuto momenti drammatici e di tensione su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione. Pronto a scendere in campo?

Contenuti
63 Days e gli orrori della guerraSul campo di battagliaGrafica e sonoro

63 Days e gli orrori della guerra

1944, Polonia, siamo praticamente alla fine della Seconda Guerra mondiale e noi siamo parte della Resistenza Polacca, intenzionata a ribellarsi e a riconquistare la propria indipendenza. In realtà, 63 Days non ha un unico protagonista ma diversi e la loro particolarità è identificata nel fatto di non essere soldati specializzati, fini strateghi o generali plurimedagliati. No, qui parliamo di persone comuni mosse dal medesimo desiderio: quello di essere liberi.

Se l’idea di base con relativi dialoghi e conseguente sviluppo delle trame è intrigante è altrettanto vero che 63 Days non si focalizza più di tanto sul raccontare delle storie se non in un’ottica macro che è quella storica e che quindi guarda al cambio di battaglia, agli innumerevoli conflitti che vengono proprio identificati in 63 giorni di brutalità. Parliamo di fatti storici concreti e che nel dettaglio vedono un’operazione di resistenza mirata contro l’allora occupazione tedesca.

L’obiettivo dei polacchi era di liberarsi dei tedeschi con un unico e massiccio attacco in modo da non lasciare troppo spazio all’imminente arrivo dei sovietici con il potenziale rischio di cambiare semplicemente oppressore. Il desiderio del popolo della Polonia era semplicemente quello dell’indipendenza ed erano disposti a tutto pur di ottenerla. Il titolo di Destructive Creations riaccende l’attenzione su quella speranza e su tutta la serie di conflitti che ne sono scaturiti. 

63 Days, recensione (PlayStation 5)

Sul campo di battaglia

63 Days è essenzialmente uno strategico in tempo reale con un forte focus sulle operazioni stealth. Queste ultime sono giustificate dalla già citata caratterizzazione dei personaggi coinvolti: non sono soldati e quindi, di conseguenza, un assalto frontale equivale quasi sempre a un suicidio. In ogni missione, avremo a disposizione un determinato numero di combattenti ognuno caratterizzato da una serie di statistiche abbastanza standard e da diverse abilità.

Queste ultime vanno a caratterizzare, in alcuni casi in maniera forzata, il modo in cui dover utilizzare un determinato personaggio rendendolo particolarmente adatto (più di altri) a eseguire determinate operazioni. Questa “forzatura” ci costringe quindi a intuire chi utilizzare, dove e soprattutto quando. La situazione va a complicarsi quando si devono utilizzare diversi personaggi concatenando abilità, movenze e azione per poter proseguire in modo ottimale.

Tale attenzione è praticamente necessaria onde evitare disastrosi epiloghi che, ahinoi, non saranno così rari. Tra i motivi bisogna evidenziare un’udito particolarmente fine dei nostri avversari che rende molto difficoltoso l’uso delle armi da fuoco. Riassumendo: basta sparare un colpo che si allerterà mezza mappa. Inutile dire, che il nemico non solo è armato quasi sempre meglio di noi ma occupa la mappa in numero prevalentemente maggiore (e spesso di molto).

63 Days, recensione (PlayStation 5)

Altro elemento a cui prestare assoluta attenzione, è il campo visivo dei nemici oltre che al loro percorso. Inutile dire che, come in gran parte dei titoli stealth, anche qui le reazioni avversarie dinanzi a sparizioni improvvise di colleghi (anche vicini) saranno nulle. Allo stesso tempo, come già detto, decidere chi eliminare e con chi, e quando agire, è ancora una volta parte di un macro mosaico di azioni che dovrai necessariamente svelare per poter superare in modo positivo il livello.

Lo spazio per improvvisare è quindi abbastanza poco (se non quasi sempre nullo) ed è invece richiesto uno studio attento della zona e dei nemici oltre che a una conoscenza profonda delle abilità dei propri personaggi per poter dar vita alla giusta combo nel momento giusto e nell’ordine giusto. Come una sorta di enigma da sbloccare più che una serie di combattimenti da affrontare (questi ultimi diventano quindi parte stessa del puzzle di 63 Days). 

63 Days, recensione (PlayStation 5)

Questa struttura può quindi piacere o meno a seconda dell’utente fatto sta che può diventare realmente snervante e questo lo si può intuire già nel prologo quando con soli due personaggi, sei spinto a dover incastrare perfettamente ogni singola movenza, tenendo d’occhio contemporaneamente il cono di visuale nemico ed eventuali ripari delle ambientazioni (queste, seppur anonime, sono ben realizzate e strutturalmente varie). Purtroppo, a rendere il gameplay ancora più ostico c’è proprio il sistema di comandi.

Inutile girarci intorno, 63 Days è un titolo perfetto su PC, con mouse e tastiera, così come gran parte dei suoi congeneri. Purtroppo, pad alla mano, si perde molto della precisione del titolo e la combo di tasti necessari per selezionare e poi attivare le relative abilità richiede non poco allenamento. Così come capiterà spessissimo di indicare una zona in cui spostarsi per vedere poi il nostro eroe percorrere tutt’altra via, venendo irrimediabilmente mazzuolato. E a tal proposito, ricordiamo che basta il KO di un solo elemento del team per farci ripetere intere sezioni di gioco.

Ultimo elemento ludico da evidenziare è una modalità da “combattimento libero” dove potremo puntare e sparare liberamente quasi come in un twin-stick shooter. Il problema di fondo è che una tale modalità, seppur comoda da gestire, è praticamente inutilizzabile. Il motivo è già palese: basta uno sparo e arrivano frotte di nemici da ogni dove e impossibili da affrontare. Inoltre, i nostri eroi hanno pochissima energia rendendo gli scontri aperti impensabili se non in rarissime occasioni.

63 Days, recensione (PlayStation 5)

Grafica e sonoro

Graficamente parlando, 63 Days si difende discretamente bene, con una buona cura del dettaglio che spicca soprattutto per le location. Certo, più si zoomma in avanti e più i dettagli vanno a sfocarsi ma l’impatto aereo e generale è più che soddisfacente. Il sonoro si difende discretamente bene, senza troppe sorprese ma con un buon doppiaggio in inglese.

Buoni anche gli effetti sonori, seppur abbastanza standard. Nelle nostre lunghe sessioni di gioco non abbiamo riscontrato bug rilevanti se non sporadici rallentamenti che però non hanno danneggiato la nostra esperienza. Da segnalare, infine, la gradita presenza dei sottotitoli in lingua italiana, utilissima aggiunta per comprendere tanto i tutorial (ne sono diversi e abbastanza esaustivi) quanto i dialoghi tra i vari personaggi. 

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63 Days
6.5
Grafica 7
Sonoro 6.5
Longevità 6.5
Gameplay 6
Narrazione 6.5
Aspetti positivi Narrativamente e storicamente interessante Graficamente offre un buon impatto generale Livello di sfida elevato Presenza dei sottotitoli in italiano
Aspetti negativi Può diventare facilmente frustrante Alcune scelte di gameplay che abbattono la strategia creativa Trasposizione dei controlli su console imperfetta
Considerazioni finali
63 Days è un titolo interessante e che a un impatto grafico gradevole e realistico contrappone scelte di gameplay che possono risultare frustranti per più di un utente. A conti fatti, c’è poco spazio per la strategia creativa, venendo quindi obbligati a intuire come risolvere le situazioni spesso rilegate a una sola soluzione. Ad azzoppare ulteriormente l’esperienza c’è una trasposizione dei controlli su console imperfetta e che richiede tempo e pazienza. Rimane comunque un titolo coraggioso e in grado di raccontare uno spaccato di storia che ha lasciato un brutto segno che non va dimenticato.

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